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etcetera

     

samedi, décembre 21, 2002

 
Fermiamo la guerra. Firmiamo la pace.



Perché quanto sancito dall’articolo 11 della Costituzione abbia una concreta attuazione, Emergency ha chiesto a tre noti giuristi di preparare il testo di una Proposta di legge di iniziativa popolare in cinque articoli, che trovate sul sito di Emergency.
Con questa Proposta vogliamo chiedere al Parlamento l’approvazione di una serie di garanzie che rendano concreto l’art.11, ne consentano l’effettiva applicazione e prevedano sanzioni rigorose alla sue violazioni.
Per presentare la Proposta di legge al Parlamento abbiamo sei mesi di tempo per raccogliere almeno 50.000 firme.

In questa pagina ci saranno al piů presto le modalitŕ e i luoghi della raccolta e aggiornamenti sui risultati che, insieme, riusciremo a raggiungere.

Per ulteriori informazioni, inviate una mail


Iniziativa di Emergency
 
Sessantesette giornalisti e altre persone appartenenti al mondo della comunicazione sono state uccise nel 2002 mentre esercitavano la loro professione.

IFJ Calls for New Safety Culture: After 67 Journalists and Media Staff Killed in 2002
The International Federation of Journalists said that 2002 has been a "year of targeting" in which investigative reporters on three continents died in separate assassinations for pursuing stories that expose terrorism, corruption or criminal activity.
"These journalists paid the ultimate price for their stories," said Aidan White, IFJ General Secretary announcing a total of 67 deaths in its 2002 report of journalists and media staff killed while on duty. "It is time for the international community and the media industry to join hands in a new campaign to hunt down those who target journalists for asking the tough questions that help keep democracy intact."

fonte: Federazione Internazionale dei Giornalisti
approfondimenti: Rassegna Stampa e Rapporto 2002

vendredi, décembre 20, 2002

 
Costa d'Avorio-crisi
ABIDJAN - La cittŕ di Bangolo, ad una quarantina di chilmometri a sud da Man, nella parte ovest della Costa d'Avorio, č caduta sotto le mani dei ribelli del Movimento popolare ivoriano del grande ovest (MPIGO). Lo hanno fatto sapere fonti militari a Abidjan. Secondo un abitante di Bangolo raggiunto per telefono, i ribelli sono entrati nella cittŕ intorno alle 15:00 ore locali, senza incontrare restistenze da parte delle forze di sicurezza che sono fuggite all'avvicinarsi dei ribelli.

fonte: Internazionale
 
da La Repubblica

Il colosso alimentare contro il paese piů povero - Indennizzo per l'esproprio di una fabbrica nel 1975
La Nestlé fa causa all'Etiopia "Vogliamo 6 milioni di dollari"

GINEVRA - L'Etiopia č tra i paesi piů poveri e affamati, eppure la Nestlé, gigante mondiale dell'industria alimentare, reclama milioni di dollari di risarcimenti. Una disputa paradossale iniziata quasi trent'anni fa nella terra minacciata da gravi carestie e dove milioni di persone non hanno cibo a sufficienza, secondo i piů recenti allarmi lanciati dalla Fao. La multinazionale elvetica aveva una fabbrica alimentare in Etiopia, che gli č stata espropriata nel '75 da parte dell'allora regime militare.

Per quell'esproprio nel 2001 la Nestlé ha reclamato sei milioni di dollari a titolo di indennizzo, e i negoziati sono ancora in corso. La multinazionale si difende, malgrado la denuncia di un'organizzazione non governativa. "La situazione puň sembrare scandalosa a prima vista, ma non lo č se si conoscono tutti gli aspetti della vicenda", ha detto Francois Xavier Perroud, portavoce della Nestlé. "Discussioni sono in corso con le autoritŕ etiopiche e la richiesta di sei milioni č solo quella iniziale. Siamo molto flessibili e siamo pronti a investire la somma del risarcimento nel paese africano", ha aggiunto.

I negoziati, cui partecipa anche un'agenzia della Banca mondiale, sono ripresi nel 2001 su iniziativa del governo etiopico. Inoltre, il caso Nestlé non č isolato: una cinquantina di simili trattative sono in corso, ha sottolineato Perroud. Al centro della disputa č l'Elidco (Ethiopian Livestock Development Company), una fabbrica alimentare in Etiopia che controllava il gruppo tedesco Schweisfurth, rilevato dalla Nestlé nel 1986. Dopo l'espropriazione, le autoritŕ di Addis Abeba avevano poi rivenduto la fabbrica a una societŕ locale nel 1998 per la somma di 8,7 milioni di dollari, ha raccontato Perroud.

Con l'acquisto del gruppo tedesco la Nestlé ha ereditato anche i diritti di indennizzo. "Per noi č una questione di principio e saremo inflessibili sul principio di un risarcimento. In caso contrario" ha detto Perroud "la somma di sei milioni di dollari da noi richiesta č solo il punto di partenza di un negoziato: sulla somma, sui tempi e sulle modalitŕ saremo molto, molto flessibili. Inoltre siamo pronti a investire in Etiopia l'integralitŕ del risarcimento ricevuto".

L'Ong britannica Oxfam ha denunciato la Nestlé in un comunicato affermando che l'Etiopia č un paese che muore di fame ed č tra i piů poveri dell'Africa, con un reddito medio pro capite di meno di 2 dollari al giorno. I sei milioni di dollari reclamati dalla Nestlé "potrebbero fornire acqua potabile a oltre quattro milioni di persone in Etiopia o permettere di costruire 6.500 pozzi nel paese colpito dalla siccitŕ".

(19 dicembre 2002)

jeudi, décembre 19, 2002

 
Domani a Ginevra, l'Organizzazione mondiale del commercio deciderŕ sull'accesso ai medicinali nei paesi in via di sviluppo.

fonte: newsletter di Internazionale


 
Che la finanziaria che verrŕ presto approvata abbia molte falle, lo si legge pure sul Financial Times.

mercredi, décembre 18, 2002

 
dal Corriere

COSTA D’AVORIO
Il Paese del cacao che muore nel silenzio


Nel silenzio e nell'indifferenza, si consuma da settembre un'altra guerra civile in un angolo d'Africa. Forse ci vorrebbe un concorso di miss, come in Nigeria, o un attentato, come in Kenia, perché quanto sta accadendo in Costa d'Avorio diventi d'attualitŕ. Centinaia di morti, la scoperta di una prima fossa comune, scontri etnici e religiosi, territori contesi, fuga di bianchi, esodi di popolazione, ingerenze di Paesi confinanti, afflusso di mercenari.
Cambiano soltanto nomi e protagonisti, nello scenario ripetitivo di Paesi alla deriva, dove élites militari e clan si spartiscono materie prime, fette di territorio e fedeltŕ di pezzi dell'esercito e dello Stato.

La Francia, ex potenza coloniale, rimasta legata alla Costa d'Avorio da accordi economici e militari, ha avvertito come un obbligo l'invio di centinaia di soldati. Ma la forza d'interposizione, che ha protetto gli stranieri in fuga, ha dato l'impressione di difendere il traballante governo del presidente, Laurent Gbagbo, cristiano del Sud che due anni fa vinse contestate elezioni, dopo un susseguirsi di colpi di Stato che hanno minato la stabilitŕ del Paese e innescato rivalse di militari emarginati.
Il Nord, con forte presenza musulmana, č in mano a reparti dissidenti dell'esercito. Nelle ultime settimane, si č formata una terza fazione, a Sudovest, le cui attivitŕ sarebbero appoggiate dalla vicina Liberia. Bandiere etniche, nazionaliste e anti-occidentali si agitano come baionette, in un contesto d'interessi locali, criminalitŕ e racket che tiene in ostaggio la popolazione.
Le organizzazioni umanitarie evocano lo spettro del Ruanda e denunciano l'analogo ingranaggio d'istigazione all'odio, arruolamento di giovanissimi volontari, impotenza della diplomazia e deportazione di civili.
La Francia, che ha spesso sostenuto regimi amici, non vuole ripetere le nefaste esperienze del Ruanda e del Congo e punta a una mediazione internazionale. Ma intanto i suoi parŕ rischiano di rimanere impigliati in un piccolo Vietnam.
La guerra in Costa d'Avorio meriterebbe piů attenzione per il suo essere evidente paradigma di questioni planetarie. L'ex paradiso esotico č il primo produttore mondiale di cacao. Nelle piantagioni sono andati a lavorare, dai Paesi vicini, decine di migliaia di contadini che oggi sono rovinati o espulsi, secondo una dinamica dell'immigrazione interna all'Africa che, se viene messa in crisi dall'instabilitŕ politica, origina conflitti locali e flussi migratori verso il primo mondo.
Gli scontri bloccano raccolta e trasporto del cacao e l'importante porto di Abidjan, vitale per le esportazioni dei Paesi vicini alla Costa d'Avorio. Il regime mantiene il controllo della capitale, i ribelli hanno conquistato le zone di coltivazione. Per questo, sui mercati globali, il prezzo del cacao (e dei cioccolatini) sale e il livello di vita dei contadini precipita, come l'economia dei Paesi produttori di materie prime.
Una guerra dimenticata e lontana ha dunque un rapporto diretto anche con emigrazione e globalizzazione. Se si colora, come molti conflitti del genere, di motivi etnici e religiosi, potrebbe anche non rimanere estranea al terrorismo e all'estremismo islamico, come giŕ avviene altrove.
Separatismi e conflitti etnici interessano molte aree dell'Africa, dal Camerun alla Repubblica Centrafricana, dal Sudan ai Paesi dei Grandi Laghi. I massacri in Nigeria, in seguito al concorso di Miss mondo, hanno evidenziato una dialettica micidiale fra nord musulmano e sud cristiano. Il Kenia, ex paradiso turistico, ha giŕ compiuto il «salto di qualitŕ», diventando terreno di attivitŕ terroristiche.
Nell'Africa subsahariana, č in atto un processo di islamizzazione, parallelo al ridursi, anche demografico, della presenza cristiana e dell'influenza occidentale (e forse anche per questo il Vaticano non pensa a una tregua unilaterale nel controllo delle nascite). Abbandonata al suo destino sul piano economico, strozzata dal debito estero e destabilizzata, l'Africa č diventata, come in parte il Sudest asiatico, dalle Filippine all'Indonesia, un terreno di «scontro di civiltŕ».

Sentimenti anti-occidentali e anti-coloniali, un tempo monopolizzati dal marxismo e da movimenti di liberazione, tendono ad una deriva religiosa, al di lŕ delle reali convinzioni spirituali. Fra popolazioni decimate dalla fame (38 milioni a rischio, secondo l'ultimo rapporto Onu) e dall'Aids, espropriate di risorse e futuro, la Moschea suscita piů speranze di riscatto del Crocifisso.
Forse i rischi, dove si coltivano cacao o caffč, non sono inferiori a quelli dove si estrae il petrolio. Forse la solidarietŕ e l'intelligenza sono, ovunque, piů utili delle bombe.

di MASSIMO NAVA


mardi, décembre 17, 2002

 
Pino scaccia scrive:

A questo punto (volevo evitarla) rendo pubblica una riflessione: amara. Io sono stato a Genova per una settimana e ogni giorno ho messo sul Blog qualche riflessione. Poi c’e’ stata la manifestazione e ne ho parlato, invitando al dibattito. Non mi e’ arrivata una, dico una, risposta. Dopo Firenze, dove tutti erano andati a far festa, sono stato ricoperto come sai di discussioni, spesso interessanti, spunti, racconti, polemiche, denunce, insulti (salutari), complimenti (rari). Non che tutti debbano riferirsi a me, ma proprio di Genova2 non ne parla praticamente quasi nessuno, neppure nei Blog. Il discorso e' tecnico: le visite non sono diminuite, ma evidentemente non c'e' voglia di parlarne. Allora? Gia’ tutti stufi? Spero che la nostra provocazione serva a qualcosa.

Rispondo:

Se non ho risposto immediatamente all'invito al dibattito, č stato per via della mia insicurezza/timidezza (il web-log č un tentativo di mettermi in gioco, rassicurata dall'anonimato)... ma la provocazione č riuscita a smuovere pure me...

Anch'io ho notato come, a questa "seconda Genova", sia stato dedicato, nei quotidiani, uno spazio ristretto e a margine e, nei blog, nessuno.
Non credo che quest'apparente assenza d'interesse sia dovuta al fatto che si sia tutti stufi, o al fatto che, come ho letto in un quotidiano, "dal resto d'Italia la partecipazione abbia risentito della fretta e del periodo infelice a ridosso delle feste". Si č risentito della fretta sě, non del clima natalizio. Non si era stanchi né distratti da altro, a mio parere. Semmai si č stati informati poco e a posteriori.
Mentre, sullo stato d'assedio di Genova l'estate dello scorso anno o sugli eventuali rischi di una manifestazione a Firenze di recente, si č scritto fin troppo, dando comunque cosě adito al dibattito, sui provvedimenti cautelari del 4 dicembre non si č voluto parlare molto, né di conseguenza delle proteste contro.
Ci fosse stato qualche incidente, qualche scontro, ci sarebbe stata anche la notizia in prima pagina accanto agli articoli sulla Lewinski. Ma dal momento che, in un clima piů disteso e non preceduto da allarmismi, le dimostrazioni sono avvenute pacificamente, si č parlato, dove se ne č parlato, semplicemente di una “colorata e pacifica manifestazione”.
Il mio silenzio? Perché LunaticaMente, che esiste solo da poco piů di due mesi, non č stato pensato per fare commento, ma per condividere le emozioni d’una mente lunatica. Solo ieri, un po’ perché ultimamente ho avuto spesso la tentazione di cambiare registro, un po’ perché, man mano che conosco meglio l’universo dei blog, vengo pungolata dai dibattiti che vi si svolgono trasversalmente, cosě come sono stata stimolata da questa “vostra provocazione”, ho aperto etcetera un nuovo spazio di riflessione.
Grazie per avermi indirettamente incoraggiata ad “evolvermi”.


lundi, décembre 16, 2002

 
Appello di Libertŕ e Giustizia:
“Giů le mani dai libri di Storia”

Vi invitiamo a sottoscrivere l’appello inviando una mail qui

I Garanti di Libertŕ e Giustizia assistono con viva preoccupazione alla proposta ventilata in commissione parlamentare di un controllo esercitato dal Ministero della Pubblica Istruzione sui manuali di storia per le Scuole. Rilevano che l'idea di un controllo governativo sulle idee espresse da libri di testo evoca stagioni evidentemente non ancora remote, in cui i regimi fascista, nazista e stalinista esercitavano tale diritto censorio, e giudicano l'idea indegna di un paese democratico. La responsabilitŕ della stesura dei libri di testo compete agli editori e agli autori e la responsabilitŕ della loro adozione compete agli insegnanti, alla cui oggettivitŕ e senso critico si delega il compito di giudicare se un testo sia valido, e in che misura possa essere eventualmente criticato e integrato in sede di lezione, addestrando cosě gli studenti non solo ad apprendere ma anche a giudicare le loro fonti di apprendimento. Questo č l'unico controllo che in un paese libero si puň e si deve esercitare sui manuali scolastici. Confidando pertanto nel senso di responsabilitŕ degli editori e degli insegnanti, e nella dinamica di un libero mercato delle idee, si confida che la proposta rimanga semplicemente nel limbo delle cattive intenzioni. Tuttavia non si puň fare a meno di rilevare che il fatto stesso che qualcuno l'abbia ventilata suscita serie preoccupazioni sullo stato di salute del nostro sistema democratico.
Gae Aulenti
Giovanni Bachelet
Enzo Biagi
Umberto Eco
Alessandro Galante Garrone
Franzo Grande Stevens
Claudio Magris
Guido Rossi
Giovanni Sartori
Umberto Veronesi
...

"Su cio' di cui non si puo' parlare, non si deve tacere... ma si deve scrivere"

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