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etcetera

     

mercredi, janvier 29, 2003

 
Il 30 gennaio 1948 veniva ucciso Gandhi, il profeta della forza della veritŕ, l'arma dei deboli



Sudan. Il governo attacca ancora: falliti i colloqui
di Daniele Bertulu

Ennesima delusione per le speranze di pace in Sudan: l'esercito regolare ha lanciato una violenta offensiva nel sud del paese, nello Stato del Western Upper Nile; il nuovo attacco arriva pochi giorni dopo la ripresa, in Kenya, delle trattative che dovrebbero sancire la fine della guerra.
Gli scontri, descritti come particolarmente intensi, si sono concentrati attorno allo strategico centro di Ler e si sono protratti per almeno un'ora.
Secondo monsignor Cesare Mazzolari, vescovo di Rumbek, citato dall'agenzia MISNA ( www.misna.org ), i combattimenti sarebbero durati invece tutta la giornata di domenica, e sarebbero tuttora in corso.
Le truppe governative sono riuscite a conquistare la cittŕ, sottraendola al controllo dei ribelli dell'SPLA, che avrebbero organizzato una ritirata.
L'agenzia umanitaria Medici Senza Frontiere denuncia fughe di civili dalla zona degli scontri e le sue dirigenze sono state costrette ad evacuare lo staff locale dai centri di assistenza di Thonyor e Dablual, situati a poche decine di chilometri dall'area di Ler.
Secondo altre Organizzazioni Non Governative, l'operazione dell'esercito starebbe mirando a "ripulire" le zone petrolifere attorno a Ler, Adok e Mirmir dai guerriglieri e dalla popolazione locale.

Nuovi particolari emergono inoltre riguardo ai combattimenti che hanno avuto luogo nelle ultime quattro settimane, di cui erano arrivate in precedenza solo scarne notizie: pesanti scambi di fuoco tra SPLA e governativi sarebbero scoppiati nella regione di Wun, nella provincia di Wahdah, soprattutto presso i giacimenti di "oro nero" di Bentiu e Mayom. In quest'ultima localitŕ sarebbe stato tentato anche un assalto contro un campo profughi che ospitava numerosi rifugiati.
Come prevedibile, l'azione armata di Khartoum ha avuto pesantissime ripercussioni sui negoziati in Kenya: dopo un primo momento in cui si era ribadita la volontŕ di proseguire le trattative, la delegazione dell'SPLA ha successivamente annunciato il suo abbandono; la terza tornata di incontri sembra dunque essere la piů travagliata, dato che non si č ancora praticamente cominciato a discutere seriamente.
Ancora secondo monsignor Mazzolari, ciň che riserva la situazione in Sudan nel prossimo futuro non sembra presagire nulla di buono: "si prospetta una crisi militare spaventosa", ha annunciato alla MISNA.
Nuovi scontri nell'ambito dell'Operazione Iron Fist (Pugno di Ferro), in cui l'esercito ugandese sconfina regolarmente in Sudan per dare la caccia ai ribelli dell'LRA (Lord's Resistance Army, Esercito di Resistenza del Signore), che qui hanno numerose loro basi.
Secondo il Ministro della Difesa di Kampala, Amama Mbabazi, la scorsa settimana i militari hanno attaccato postazioni dei guerriglieri nell'area a sudovest di Lubang-Tek, uccidendo almeno un miliziano e sequestrando numerose armi e munizioni.
Il regime di Khartoum appoggia queste azioni armate e durante i mesi precedenti č stato rinnovato l'accordo con l'Uganda riguardo alla concessione per compiere tali raid.
 
Venezuela: Minacciata la libertŕ di stampa dei Media

Una ricerca di governo sulle presunte violazioni dei regolamenti di radiodiffusione ad opera di due stazioni televisive venezuelane minaccia la libertŕ dei media nel Venezuela. Le stazioni sono investigate per radiodiffusioni che screditano il governo venezuelano ed il presidente Hugo Chávez.

Rapporti di HRW sulla crisi politica venezuelana: [+], [+], [+], [+]
 
In Cina un tibetano č stato giustiziato a morte ed altri attendono l'esecuzione. La polizia cinese ha detto che le sentenze di morte sono dovute a "crimini di terrorismo". Ma la guerra contro il terrorismo viene sempre piů strumentalizzata in cause politiche.

Rassegna stampa di HRW su Cina e Tibet: [+]
Documenti sulla repressione: [+]
Provvedimenti severi cinesi: [+]
 
Abusi sessuali in Zambia diffondono l'AIDS tra ragazze

Non č acidentale che l'incidenza dell'HIV sia cinque volte maggiore tra le ragazze che tra i ragazzi sotto i 18 anni in Zambia. Ragazzine, soprattutto orfane, vengono violentate da uomini anziani, compresi quelli che dovrebbero chiamarsi tutori di queste ragazze, ed il governo non le protegge. Alcune di queste ragazze hanno solo 11 anni.
Lo Zambia non č l'unico paese a confrontarsi con questo problema, ma con un adulto su cinque infetto ed una prevalenza molto alta dell'HIV tra ragazze e fondi minimi per la protezione di queste ragazze dagli abusi sessuali.

Testimonianze di ragazze che hanno subito violenze in Zambia.

"Mia madre e mio padre sono morti, non so come. Sono stati malati a lungo. Sono andata a vivere con mia zia quand'ero al sesto anno a scuola. Mia zia non era sposata, ma aveva due figli. Il fratellastro era piů vecchio di me, aveva quasi l'etŕ di mio padre. Lui mi violentň e mi disse che se l'avessi detto a qualcuno, m'avrebbe ucciso. Il mio maestro a scuola mi disse che m'avrebbe aiutato a trovare un posto dove stare. Mi portň in un'ospedale"
15 anni, 1 giugno 2002.

"Dopo che i miei parenti morirono, andai a vivere coi miei zii. Loro era sono soliti maltrattarmi. Dovevo andare a prendere l'acqua lontanissimo e non mangiavo per diversi giorni. M'ammalavo e nessuno mi curava. Mio zio mi colpiva con cavi elettrici. Prima di vivere coi miei zii, vivevo con la madre della mia sorella maggiore e mio fratello mi violentava. Avevo otto o nove anni. Ero terrorizzata. Mi diceva "Ti ucciderň se lo dirai a qualcuno". Aveva 14 o 15 anni".
12 anni, Lusaka, 19 maggio 2002

"Dopo la morte di mia madre, andai da mia nonna materna. Nel 2001 lei morě cosě abbandonai gli studi, perchč non mi manteneva piů nessuno. Mio fratello aveva sei anni e li abbondonň anch'egli. Dopo andammo da mia zia. Molte ragazze perdono la verginitŕ a causa delle violenze dei loro fratellastri o degli zii. Ma non devono dirlo. Pensano che se tu vai alla polizia, nessuno ti proteggerŕ. Cosě mantengono il silenzio. Una mia amica fu violentata da un uomo che le diede poi molti soldi. Ma lui la lasciň, lei fece un test HIV e risultň positivo. Ora ha una bimba. Altre mie amiche sono state violentate dai loro zii. Molte ragazze perdono i genitori, abbandonano gli studi e decidono di vivere per strada"
16 anni, Lusaka, 22 maggio 2002

Rapporto di 121 pagine di HRW: [+]
Editoriale: [+]
Casi simili in Congo: [+]
Casi simili in India: [+]
 
Nigeria: Incremento delle violenze politiche prima delle elezioni

La Nigeria sta pianificando le elezionali nazionali per aprile ed i primi di maggio, sperando che saranno il primo trasferimento del potere da cittadini a cittadini con successo dall'indipendenza nel 1960. Ma il governo nigeriano non sta facendo molto per prevenire un'ondata di violenze politiche durante il periodo preelettorale. I politici stanno usando la violenza per acquistare o mantenere appoggi politici ed influenza. Usano con vantaggio la povertŕ per reclutare giovani che intimino e uccidano persino i loro oppositori o i sostenitori dei loro oppositori. Molti di questi casi rimangono irrisolti. Sebbene la polizia abbia arrestato qualcuno, le persecuzioni sono rare e l'impunitŕ incoraggia i politici a credere che loro possano continuare ad usare la violenza per far tacere i loro oppositori.

Lettera di HRW al governo nigeriano: [+]
Altre notizie sulla Nigeria: [+], [+]
Rapporti di HRW sulla Nigeria: [+], [+]
 
Russia: Abusi in Cecenia

HRW ha pubblicato oggi ventisette pagine in cui, sulla base di sessantadue interviste fatte durante la missione nella regione nel dicembre 2002, vengono documentate le continue violazioni delle leggi umanitarie commesse dalle forze sia Russe sia Cecene, a partire dalla crisi della presa in ostaggio d'ottobre a Mosca.
Per quanto riguarda gli abusi commessi dalla Cecenia, il rapporto condanna la presa in ostaggio d'ottobre e denuncia il bombardamento di dicembre dell'edificio di governo a Groznyi ed una serie d'assassini di funzionari russi.
Per quanto riguarda le violazioni commesse dalla Russia, documenta esecuzioni extragiudiziali e scomparse forzate di ceceni ad opera di Russi.
Il rapporto documenta inoltre le minacce (d'arresto o di taglio dei rifornimenti di elettricitŕ e di gas durante i mesi invernali) e le intimidazioni dalle autoritŕ d'emigrazione russe per costringere circa 20.000 profughi a lasciare gli accampamenti ed a ritornare in Cecenia. In un caso, gli sforzi russi di chiudere gli accampamenti sono riusciti in modo eccellente: l'accampamento di Aki-Yurt, che alloggiava circa 1.700 profughi ceceni, č stato chiuso all'inizio di dicembre 2002.
Allo stesso tempo, il governo russo ha provato con insistenza a tenere lontano il controllo esterno della situazione in Cecenia. Per parecchi anni, ha vietato agli ispettori delle Nazioni Unite di visitare la regione e, il 31 dicembre 2002, ha interrotto le operazioni del gruppo di assistenza OSCE in Cecenia.
HRW sollecita USA e Unione Europea a fare pressione per un'estensione del mandato del gruppo di assistenza OSCE ed ad invitare il governo russo a non costringere i profughi a ritornare in Cecenia.

Rapporto HRW
Lettera a Putin
Notizie su Russia e Cecenia


Cecenia: Nuove violenze: ventisei vittime di Daniele Bertulu

Diciassette soldati russi, otto ribelli ed un poliziotto ceceno hanno perso la vita in Cecenia negli ultimi due giorni, nonostante le autoritŕ di Mosca continuno ostinatamente a definire "tranquilla" la situazione nella provincia.
Almeno dieci federali sono morti in diversi scontri e imboscate contro le loro postazioni in diverse localitŕ della regione; tre sono stati invece uccisi nell'esplosione di un mezzo blindato su cui erano a bordo, mentre un altro russo ha perso la vita in un episodio analogo, avvenuto nella cittŕ di Shali.
Nel distretto di Vedeno, un assalto ad una colonna armata ha provocato la morte di due militari, mentre nel piccolo centro di Komsomolskoye (Urus-Martan) sono rimasti uccisi un federale e due separatisti in un tentativo di assalto da parte di questi ultimi.
In una foresta presso il villaggio di Baitarki, presso Nozhai-Yurt, le forze speciali hanno ucciso sei guerriglieri che si erano introdotti in Cecenia varcando la frontiera con il Daghestan: secondo il Comando per le Operazioni Antiterrorismo per il Caucaso settentrionale, fra i morti vi sarebbe anche un "combattente di un Paese Arabo"; il gruppo, inoltre, avrebbe avuto legami col "signore della guerra" Shamil Basayev.
Ancora nella capitale, un poliziotto ceceno dell'amministrazione filorussa č stato assassinato in un agguato, in cui anche un suo compagno č rimasto ferito; l'episodio ha avuto luogo durante una perlustrazione notturna, operazioni in cui spesso si registra un alto numero di vittime: a Grozny infatti le bande dei ribelli continuano ad imperversare, approfittando soprattutto dell'oscuritŕ, dato che il ripristino, almeno parizale, dell'energia elettrica nella cittŕ devastata dai combattimenti č ancora lontano dall'essere effettuato.
Il mese scorso le truppe russe sono state duramente accusate di addossare i rischiosissimi rastrellamenti notturni esclusivamente alla polizia locale.

Altri due miliziani ceceni sono stati feriti in un attacco dei guerriglieri contro il municipio del villaggio di Khimoy (distretto di Sharoi), nelle montagne a sud.
L'artiglieria federale ha effettuato raid nelle regioni di Gudermes e Vedeno, mentre i bombardieri russi hanno colpito obiettivi dei ribelli nella provincia di Nozhai-Yurt.
Almeno 130 civili sono stati arrestati a Grozny e nei sobborghi circostanti con l'accusa di legami con gli indipendentisti; tali azioni, che molto spesso si risolvono in violenze, abusi e omicidi, sono costantemente criticate dalle agenzie umanitarie locali d internazionali.
Durante una visita nella capitale giordana Amman, il leader dell'ammininistrazione filorussa Akhmad Kadyrov ha lanciato nuove accuse contro la guerriglia, dichiarando che i suoi combattenti "non stanno conducendo una guerra santa, ma piuttosto azioni illegali [...] si fanno chiamare 'mujaheddin', ma hanno ordini di uccidere i predicatori musulmani e gli impiegati che lavorano per il governo".
Durante gli ultimi mesi, infatti, i ribelli hanno avviato un campagna volta ad assassinare i cosiddetti "traditori", ossia coloro che lavorano per conto dell'amministrazione fedele a Mosca: sono stati infatti uccisi o rapiti decine tra funzionari, insegnanti, leader religiosi o semplici civili.

Il Ministro degli Esteri russo Igor Ivanov ha accusato gli Stati Uniti di rifiutarsi di inserire la guerriglia cecena nella lista delle organizzazioni terroristiche mondiali.
"Nonostante la nostra insistenza, gli USA non hanno ancora accolto la richiesta, al contrario di quanto č stato fatto con i gruppi terroristi di altri Paesi [...] questa situazione politica richiama le condizioni della Guerra Fredda", ha detto Ivanov in un'intervista televisiva.
Sergei Yastrzhembsky, funzionario della Presidenza russa, ha affermato che "il problema dei gruppi armati in Cecenia riguarda tutti i Paesi: č ormai provata l'esistenza di connessioni certe tra gli eventi passati e presenti nel Caucaso e le reti terroristiche internazionali".
 
Il giorno della (poca) memoria
di P.Oddone

"Il giorno della memoria" se n'č andato. E' passato cosě, tra un inserto di un quotidiano e un film in replica sulla RAI.

In Israele non č tempo di celebrazioni e ricordi, il governo ha scelto proprio la scorsa notte per sferrare una violentissima offensiva:

Quattordici i morti e oltre sessanta i feriti. Tra le vittime anche un bambino palestinese di 7 anni, centrato dal proiettile vagante esploso da un tank.
Oggi in Israele pochi sembrano aver intenzione di distogliere l'attenzione dal presente.

Mai piů , si diceva nel 1945. Mai piů tanta brutalitŕ e tanto odio. Mai piů guerre. E non sembrava un'utopia, era la logica conclusione per chi aveva visto e vissuto tali e tanti orrori.
La storia perň ci insegna che gli uomini hanno memoria breve e che il passare delle generazioni mitiga i ricordi degli errori del passato.

Cosě oggi c'č anche chi nega che l'olocausto sia mai avvenuto e passa il tempo a fare ricerche per dimostrare che la "soluzione finale" non fu quella che ci hanno sempre raccontato e che forse i morti sono stati un po' meno. Come se i morti innocenti fossero una merce da vendere a peso sul mercato della storia.

Sono tanti, soprattutto giovani, a lasciarsi suggestionare dalle teorie negazioniste e revisioniste, anche perchč queste si circondano di un alone di "storia misteriosa" che puň creare una certa curiositŕ.
Si potrebbe obiettare che se qualcuno impiegasse sufficenti risorse umane ed economiche riuscirebbe a far apparire credibile anche una teoria sulla non esistenza dell'Impero Romano, ma questo importa poco. Il tempo ha fatto la sua opera di erosione della memoria quel tanto che basta.

Il tempo č passato anche per i superstiti dei campi di sterminio, a portarli via, stavolta, č arrivata la vecchiaia.
Sarebbe bello che fossero ancora tutti vivi e che ogni ragazzo del mondo potesse averli avuti oggi davanti a sč a raccontare la loro storia.

La tecnologia potrebbe venire in aiuto: il regista Steven Spielberg ha raccolto 50.000 testimonianze audio/video dei sopravvisuti alla Shoah ed ha creato la Survivors of the Shoah Visual History Foundation.

La memoria dunque č conservata e disponibile. Ma č un ricordo orribile e triste, non fa vendere pubblicitŕ.
E poi, diciamo la veritŕ, chi vuole davvero ricordare?

Qualcuno dice che le guerre sono tutte uguali. Non č vero: la guerra che verrŕ č sempre la peggiore, perchč dimenticando il passato si appresta a violentare il futuro.

su WarNews
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Commemorare la fine dell’Olocausto?... Stronzate!
L’olocausto non č mai finito... sta continuando... ci siamo solo vigliaccamente girati dall’altra parte
di Sauro Martella

mardi, janvier 28, 2003

 
da La Stampa

Cento documenti finali a Porto Alegre, ma il forum scopre il dialogo coi grandi di Giulietto Chiesa

Porto Alegre finisce con un fuoco d´artificio delle star anti-globalizzazione-americana. I «politici», che hanno tirato le fila di Porto Alegre Tre, sono riuniti fino a notte fonda per scrivere la storia di questo terzo, straordinario appuntamento mondiale. Non ci sarŕ un documento finale; non c´č mai stato, non sarebbe possibile, non č nemmeno pensabile riassumere in poche - e nemmeno in molte - pagine quello che č stato detto, pensato, desiderato, temuto in questi cinque giorni intensissimi. Ci saranno, certo, cento documenti diversi, per i cento problemi del mondo che non hanno ancora soluzione, per le sfide che ci attendono tutti, inesorabilmente, ma non č ancora il tempo della sintesi, non c´č ancora una teoria comune. Parlano i «grandi» di questo movimento, di fronte ai quali qui tutti s´inchinano grati, quelli che hanno scritto per primi, che hanno preparato questo evento, che hanno creduto che sarebbe venuto il momento di un cambiamento. Samir Amin, Ignacio Ramonet, tanti altri. E´ l´ultimo giorno, quello delle testimonianze. Noam Chomsky parla come Evo Morales di Bolivia e Arundhati Roy di India, sul «Come affrontare l´Impero». E il Gigantinho s´ingolfa di folla, di registratori, di telecamere digitali. Domani fiumi di «bites» dilagheranno per i cinque continenti, attraverso le migliaia di fonti «alternative». Taceranno i media ufficiali, ma milioni ascolteranno ugualmente. Il problema vero, che non tutti ancora ben capiscono, č che sono troppi, soverchianti, i milioni che non saranno raggiunti da questo messaggio. E´ per questo che, tra le cose piů importanti decise a Porto Alegre Tre, c´č la creazione del Media Watch Mondiale. Il primo tentativo di sottoporre i giganti mediatici che dominano il pianeta a un´offensiva critica globale, multilaterale, sistematica. Il gruppo di Le Monde Diplomatique, capitanato da Ignacio Ramonet e da Bernard Cassen, ha preparato le basi teoriche di una critica pratica dell´informazione globalizzata. Manca ancora una chiara visione del rapporto tra informazione e comunicazione, cioč tra informazione in senso stretto e intrattenimento, pubblicitŕ e tutto ciň che tutti vediamo in tv ogni giorno. Ma č solo l´inizio. E, quasi sbalorditivo se non fosse proprio vero, ecco che perfino i rappresentanti della stampa «borghese», quelli sotto il tiro della critica, sono venuti qui a parlare. Peter Goldmark, presidente di International Herald Tribune, si č confrontato ieri, nell´Universitŕ Pontificia dei gesuiti, con l´algerina Nadia Aissaoui, com Norma Enriquez della colombiana Assemblea Sociale per la pace, con Vittorio Agnoletto, del Social Forum italiano, sul tema «Come costruire la pace tra i popoli contro le guerre del XXI secolo». Anche questi intrecci inediti spiegano Porto Alegre. Dove Aleida Guevara, la figlia del «Che», parla in un auditorio gremito in ogni ordine di posti, mentre Leonardo Boff, lo scrittore brasiliano, e Eduardo Galeano, scrittore uruguagio, riempiono l´immenso salone del Gigantinho parlando di «Pace e valori». E, da lontano, l´ex presidente portoghese Mario Soares rilascia un´intervista durissima contro l´Amministrazione di Washington , prevedendo che la guerra possa far precipitare disastrosamente la crisi in corso del capitalismo mondiale. Ma anche il presidente della Banca mondiale, James Wolfensohn, interviene sulle pagine di Terraviva, l´organo ufficioso del Forum, per dichiarare, niente meno, di essere d´accordo con «Attac» sulla scelta di non trasformare il movimento in partito, e per «invitare i delegati di Porto Alegre a concentrare i loro sforzi sulle strategie per cambiare il rapporto di forze». Insomma, ragazzi, andate avanti cosě, che anche noi ne abbiamo bisogno. Ma non erano, «gli estremisti» di Porto Alegre, quelli che volevano spaccare tutte le vetrine del mondo? «Zeffirelli fallaci», per citare David Riondino, che si sono spenti quest´anno, volando tra Porto Alegre e Davos. Hugo Chavez, il presidente venezuelano, č ripartito dopo un bagno di folla. Era la terza volta che veniva in Brasile negli ultimi 30 giorni. Segno che la sua situazione diventa sempre piů difficile. Ma ha dato l´impressione di essere saldo. Alla conferenza stampa si č presentato com la costituzione del suo paese in mano. E alla prima domanda dei trecento giornalisti presenti ha risposto citando Antonio Gramsci: «Siamo nel passaggio tra una societŕ che muore e non vuole riconoscerlo e una che sta per nascere ma non č ancora nata». Niente male per un militare che viene descritto come rozzo e violento. «Vogliono cacciarmi dal potere con un referendum? - ha esclamato sorridendo -. Niente in contrario, ma nel rispetto della legge e nei tempi previsti, cioč non prima di agosto, alla scadenza del terzo anno di presidenza. Se vincono loro me ne vado, altrimenti resto. Sarŕ normale». Intanto il problema principale č fermare la fuga di capitali, che se ne vanno all´estero al ritmo di quattro miliardi di dollari al mese. E sostituire «immediatamente» i cinquemila lavoratori e funzionari delle raffinerie di petrolio che aderiscono da 54 giorni allo sciopero generale. «Saranno giudicati per sabotaggio», ha annunciato Chavez . Lula, dal canto suo, ha gettato il ponte tra Davos e Porto Alegre con una singolare definizione per un loro futuro rapporto. «Parliamo delle stesse cose, come si fa in una trattativa sindacale. Siamo magari distanti, ma alla fine si puň trovare un compromesso». Questa America Latina, che sembrava condannata a restare un cortile di casa altrui, soggetta e marginale, periferica e dimenticata, si sta rivelando un eccezionale laboratorio politico. Un Brasile che si scopre improvvisamente maturo e consapevole, con una dimensione di scala enorme, sta trascinando il continente a una riscossa e a una rinascita. E´ un fatto grande cui l´Europa - che con questo continente ha legami potenti e duraturi - dovrebbe prestare un´attenzione strategica. La grande partita comincia adesso. Si tratterŕ di capire quanto e come la guerra contro l´Iraq influenzerŕ gli atteggiamenti e le decisioni future di Washington. Certo č che il programma di Lula non puň piacere a Washington. Ne consegue che Lula dovrŕ camminare con grande prudenza. Senza dimenticare - come ha ricordato a tutti i suoi elettori Frei Betto - che «noi siamo andati al governo, non al potere». Il potere resta lassů corrucciato e sospettoso, pronto a lanciare le sue saette.

lundi, janvier 27, 2003

 
Costa d’Avorio nel caos - La «pace di Parigi» non spegne le violenze
di Massimo Nava

Nel momento dei propositi di pace e delle strette di mano fra potere costituito e capi ribelli, la Costa d’Avorio precipita nel caos.
Abidjan, la capitale del Paese del cacao (primo produttore mondiale), č paralizzata da violenti disordini innescati da seguaci del presidente Laurent Gbagbo che hanno per bersaglio, oltre a cittadini stranieri e immigrati musulmani, soprattutto la Francia, con i suoi simboli e la sua presenza economica e militare. Sono stati incendiati e devastati un’ala dell’ambasciata, gli uffici dell’Air France, scuole e centri culturali, negozi e sedi di societŕ. Bande di giovani hanno cercato di assalire la sede del battaglione di soldati francesi inviati nei mesi scorsi come forza d’interposizione.

Continua sul Corriere (da domani in archivio)

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