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etcetera

     

jeudi, mars 13, 2003

 
RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SULL’AFGHANISTAN: L’AZIONE DELLA POLIZIA PER PROTEGGERE I DIRITTI UMANI

Amnesty International ha presentato oggi a Kabul un nuovo rapporto dal titolo “La ricostruzione delle forze di polizia e’ essenziale per la difesa dei diritti umani”. Dopo oltre due decenni di conflitto armato, durante i quali i diritti umani sono stati sistematicamente violati, l’Afghanistan necessita di un sistema giudiziario funzionante ed efficiente che protegga e promuova i diritti umani e di forze di polizia a
disposizione della comunita’ che costituiscano parte integrante di tale sistema.

Le forze di polizia, il sistema carcerario e i tribunali dell’Afghanistan, quasi completamente distrutti dal conflitto, oggi non offrono di fatto alcuna protezione alla popolazione del paese. Non solo la polizia e’ incapace di garantire la difesa dei diritti umani in Afghanistan, ma alcuni suoi membri sono direttamente coinvolti nelle violazioni dei diritti umani, tra cui torture e maltrattamenti durante la custodia o il ricorso a percosse e alla somministrazione di corrente elettrica nel corso degli interrogatori.

I molteplici problemi che riguardano la polizia non consentono agli agenti di svolgere il proprio compito in modo rispettoso dei diritti umani. I salari non vengono pagati e le stazioni di polizia di ogni parte del paese sono prive anche del materiale di base come carta e penne. La mancanza di una formazione sufficiente, anche su come proteggere i diritti umani, e’ un ostacolo enorme allo sviluppo di un
servizio di polizia funzionante, mentre la completa assenza di strutture per l’amministrazione della giustizia permette a chi viola i diritti umani di continuare a commettere abusi senza affrontare la giustizia.

“Per interrompere il ciclo dell’impunita’ che dura ormai da piu’ di venti anni e’ necessario che i responsabili delle violazioni dei diritti umani siano chiamati a risponderne” - ha affermato Amnesty International, che ha chiesto alla comunita’ internazionale di aumentare il sostegno per la ricostruzione delle forze di polizia, essenziale per i diritti umani.

“La ricostruzione di una forza di polizia professionale che rafforzi il ruolo della legge in tutto il paese, e’ un problema urgente che le autorita’ afgane devono risolvere in maniera prioritaria. Ma non possono farlo da sole. La comunita’ internazionale deve provvedere ai finanziamenti necessari al supporto tecnico e impegnarsi per un lungo periodo nella ricostruzione” - ha sottolineato l’organizzazione per i diritti umani. “La sfiducia nei confronti della polizia e’ assai diffusa nella popolazione e se i problemi evidenziati nel nostro rapporto non verranno affrontati immediatamente, la situazione si aggravera’.”

Ulteriori informazioni:

Alla Conferenza internazionale sull’assistenza per la ricostruzione dell’Afghanistan, svoltasi a Tokyo nel gennaio 2002, la Germania accetto’, su richiesta dell’Amministrazione provvisoria afgana, di guidare l’assistenza alla ricostruzione delle forze di polizia del paese. Il Progetto tedesco per il sostegno alla polizia in Afghanistan ha fornito supporto tecnico e finanziario e consulenza alle azioni di
polizia dell’Amministrazione provvisoria afgana. Il Progetto ha anche previsto la ricostruzione dell’Accademia di Polizia a Kabul per addestrare 1500 agenti di polizia. Anche altri donatori, tra cui gli Stati Uniti, si sono concentrati sull’addestramento, tralasciando pero’ molte altre aree essenziali, come l’importante costituzione di meccanismi di responsabilita’ e meccanismi di supervisione civile.

In Afghanistan vi sono oltre 50.000 poliziotti, ma essi non si comportano come un corpo unitario di polizia. Molti sono ex Mujahideen, che hanno una grande esperienza militare ma poca o nessuna formazione professionale di polizia. La loro lealta’ e’ diretta ai potenti comandanti regionali, con i quali hanno combattuto contro i Talebani. Questi comandanti sono stati in grado di mantenere il controllo delle province, riempiendo il vuoto lasciato dalla partenza dei Talebani, mentre il governo ha assunto l’effettivo controllo su Kabul.

Molti di questi Mujahideen hanno preso parte al conflitto armato per la maggior parte della loro vita e sono abituati ad agire dell’impunita’. Anche se in tutto il paese vi sono agenti di polizia altamente impegnati, essi sono in minoranza e la loro presenza e’
insufficiente per fronteggiare l’opprimente mole di problemi che ritardano la necessaria riforma e professionalizzazione della polizia.

mercredi, mars 12, 2003

 
Perché un forum alternativo mondiale sull’acqua?
Ecco perché abbiamo deciso di non partecipare al 3° Forum Mondiale dell'Acqua promosso dal Consiglio Mondiale dell'Acqua


Negli ultimi cinque anni la problematica dell'acqua é cresciuta in termini di presa di coscienza e di mobilitazione dei cittadini, soprattutto da parte di coloro che in America Latina, Asia ed Africa sono vittima di uno "sviluppo" che non permette, a piů di 1,5 miliardi di esseri umani, di avere accesso all'acqua potabile e a 2,4 miliardi di non beneficiare di alcun servizio sanitario.
Il Vertice di Johannesburg sullo sviluppo "sostenibile" ha dimostrato l'incapacitŕ strutturale, sul piano dei valori e delle scelte politiche prioritarie - da parte dei gruppi sociali dominanti e fedeli dichiarati della nuova teologia universale neoliberista - di realizzare lo sradicamento della povertŕ nel mondo e, per conseguenza, di permettere ad ogni essere umano di accedere al diritto di vivere e di partecipare degnamente alle decisioni relative al suo divenire e a quello della societŕ. Non sarŕ certamente il 3° Forum Mondiale dell'Acqua che si terrŕ a Kyoto (dal 17 al 22 marzo 2003) a cambiare le decisioni prese a Johannesburg.
Anzi, creatura del Consiglio Mondiale dell'Acqua e del Global Water Partnership, a loro volta istituzioni internazionali create su iniziativa della Banca Mondiale e delle grandi imprese multinazionali private dell'acqua (in testa le imprese francesi), con il sostegno di Governi quali la Francia, il Canada, gli Stati Uniti, il Messico, il Giappone e l'Egitto, e delle organizzazioni delle Nazioni Unite attive nel settore (UNESCO, FAO, OMS, UNDP, UNEP...), il Forum Mondiale dell'Acqua attuale é soprattutto l'espressione della nuova oligarchia mondiale dell'acqua, affermatasi negli ultimi anni. Questa oligarchia pretende di definire e mettere in atto la politica mondiale dell'acqua, conformemente al modello da essa considerato il piů efficace e razionale, cioč il modello della privatizzazione della gestione dell'insieme dei servizi d'acqua denominato "PPP" (Partenariato Pubblico Privato).

Il PPP corrisponde in generale al modello francese di privatizzazione dell'acqua, con in piů "un pizzico" di privatizzazione all'inglese. In realtŕ, il modello di privatizzazione PPP ha dimostrato di non essere altro che uno strumento efficace di presa di controllo "politico", oltreché economico, delle risorse idriche del pianeta da parte delle imprese private multinazionali. Il Forum Mondiale dell'Acqua di Kyoto sarŕ un'ennesima celebrazione rituale del primato del mercato, del capitale, dell'investimento privato, dell'iniziativa imprenditoriale, e della proclamazione dell'acqua come "oro blu" , destinato ad essere la causa principale di nuove ondate di conflitti d'interesse e di guerre future. Esso non offre nessuna speranza concreta alle popolazioni diseredate e sfruttate del pianeta. Nel frattempo, la devastazione delle acque dolci di superficie e sotterranee, cosě come delle acque salate (mari, oceani) non cesserŕ di aggravarsi ovunque nel mondo.

Ecco perché abbiamo deciso di non partecipare al 3° Forum Mondiale dell'Acqua promosso dal Consiglio Mondiale dell'Acqua. Alcune delle associazioni che aderiscono e condividono i principi orientativi di una politica mondiale dell'acqua fondata sul riconoscimento dell'acqua come "bene comune" e del "diritto all'accesso", saranno presenti al Forum Mondiale di Kyoto. Esse lo faranno con l'intenzione di affrontare, in maniera critica, i postulati ed i temi che saranno proposti, ancora una volta, dal Consiglio Mondiale dell'Acqua e dal Global Water Partnership. Questa opzione richiede rispetto. La nostra azione č quella di realizzare un momento di incontro autonomo e diverso.

Da qui l'organizzazione di un Forum Mondiale Alternativo.

Tratto da: cipsi
 
La maggiore multinazionale agroalimentare del pianeta
Alcune cose da sapere sulla Nestlč, che nel 2002 controllava il 35-50% del mercato mondiale del latte in polvere



Fondata in Svizzera nel 1860, la Nestlé č la maggiore multinazionale agroalimentare del pianeta, leader nel settore del latte in polvere (nel 2002 controllava il 35-50% del mercato mondiale), dell'acqua (in Italia nel 2000 controllava il 30% del mercato) e del caffé.
Sul suo sito Nestlé dichiara di non commercializzare prodotti OGM in Italia, tuttavia nel 1996 ha respinto la richiesta di tenere separata la soia OGM da quella non manipolata e inoltre fa parte di EuropaBio, il consorzio delle industrie europee per l'affermazione del biotech.
Nel maggio del 2000 Lega Ambiente ha denunciato la presenza di proteine isolate di soia OGM nel latte in polvere per l'infanzia "Alsoy". Il dato č stato riconfermato da "Il Salvagente" a fine 2002.
Una ricerca condotta da Interagency Group on Breastfeeding Monitoring ha provato che Gerber, Mead Johnson, Nestlé, Nutricia e Wyeth hanno trasgredito sotto vari aspetti il Codice dell'Organizzazione Mondiale della Sanitŕ sul latte in polvere, varato nel 1981 a tutela della salute dei bambini.
Nestlé č accusata di aver promosso la vendita dei suoi prodotti con campagne aggressive e irresponsabili, entrando negli ospedali, con uno stuolo di rappresentanti, per convincere i medici all'uso del latte artificiale e per distribuire campioni gratuiti anche alle madri, future possibili acquirenti.
In alcuni paesi, come il Pakistan, le ingerenze della Nestlé si sono spinte alla sfera politica.
La diffusione di false notizie sulla superiore composizione del latte in polvere e le complicitŕ di medici e politici corrotti, hanno condotto ad una drastica riduzione dell'allattamento materno (es.: in Cile dal 1950 al 1970 i neonati allattati al seno sono passati dal 95% al 20%).
Nel Terzo Mondo la principale conseguenza della diffusione di massa dell'allattamento artificiale č la morte di circa 1.500.000 di bambini ogni anno. Su questo tragico bilancio pesano in primo luogo la povertŕ, che non permette ai genitori di assicurare ai figli le dosi di latte in polvere minime necessarie (l'allattamento artificiale di un bimbo di 6 mesi in Nigeria richiedere oltre il 47% dello stipendio minimo di un operaio) e in secondo luogo la mancanza di igiene (acqua malsana e impossibilitŕ di sterilizzare biberon e tettarelle).
In Italia nel Marzo 2000 Nestlé č stata condannata dall'Antitrust per essersi accordata con Milupa, Nutricia, Heinz, Abbott e Humana al fine di distribuire il latte artificiale per la prima infanzia solo in farmacia (a prezzi 2 o 3 volte superiori rispetto alle altre capitali europee) e per essersi spartita le forniture gratuite agli ospedali.
Nel dicembre del 2002 ha destato scalpore la richiesta Nestlé di 6 milioni di dollari all'Etiopia a titolo di indennizzo per la nazionalizzazione di uno stabilimento del suo gruppo, ma non tutti sanno che nello stesso anno Nestlé ha tentato di barattare un aiuto di latte in polvere gratuito al Terzo Mondo - per combattere la trasmissione dell'HIV tramite allattamento (ogni anno circa 1,7 milioni di bimbi sono contagiati per questa via) - con la riabilitazione da parte dell'OMS dell'immagine stessa del latte in polvere.
Sul piano dei diritti dei lavoratori, va segnalata la gravissima situazione della Colombia, dove i sindacalisti del SINALTRAINAL e gli operai sindacalizzati sono sottoposti a continui abusi (telecamere e altre misure di stretto controllo interne alla fabbrica, licenziamenti immediati, ecc.) e ad aggressioni (sequestri, sparizioni forzate e attentati) di cui 8 mortali tra il 1986 e il 2002.
Sempre in Colombia nel novembre 2002 il Dipartimento Amministrativo di Sicurezza ha smascherato il tentativo della Nestlé di mettere sul mercato tonnellate di latte in polvere scadute provenienti dall'Uruguay. In questo paese la politica di importazione del latte operata da Nestlé, Danone e Parmalat, ha danneggiato l'economia nazionale causando la sovrapproduzione di latte fresco (impoverimento dei piccoli produttori, perdita di posti di lavoro nell'indotto, ecc.). Analogamente, incurante della crisi attraversata dai produttori colombiani di caffé (nel 2001 la raccolta del caffé si č ridotta del 40%), Nestlé importa sacchi di caffé dal Perů.
Nel 2001 Jennifer Zeng, una signora cinese, ora rifugiata in Australia, ha riconosciuto nei peluches di coniglio distribuiti insieme a Nesquik gli stessi peluches fabbricati da lei e da altri suoi colleghi in Cina presso un campo di internamento per dissidenti, dove si praticavano lavoro forzato e tortura.
Questi sono i marchi e i prodotti venduti dalla Nesltč:

Bevande: Nescafč, Nesquik, Nestea, Orzoro, Malto Kneipp, Ecco ... Franck
Soft drinks: Mirage, Sanbitter, Belté, Nestea, Diger Seltz
Acque minerali: Vera, S. Bernardo, S. Pellegrino, Panna, Levissima, Pejo, Recoaro, Perrier, Claudia, Pracastello, Giulia, Giara, Limpia, Sandalia, Tione, Ulmeta
Dolciumi e snack: Motta, Alemagna, Perugina, KitKat, Lion, Galak, Polo (caramelle), Smarties, Fruit Joy, Quality Street, Dorč, Cheerios, After Eight, Rowtree Macintosh, Cailler, Nuts
Prodotti alimentari: Sasso, Berni, Maggi, Buitoni
Pasta: Buitoni, Curtiriso, Pezzullo
Latticini: Fruttolo, LC1, Mio, Chef
Surgelati: Findus, Mare Fresco, La Valle degli Orti, Surgela, Antica Gelateria del Corso,Gervais, Haagen Dazs, gelati Mövenpick
Cibi per l'infanzia: latte Nidina, omogeneizzati Nestum, Alsoy
Cibi per animali: Felix, Fido, Vitto, Doko, Friskies, Mighty Dog, Ralston Purina
Farmaceutici: Alcon Italia spa
L'Oréal (controllata da Gesparal al 49% di Nestlé)

Tratto da: anarcotico
 
"BASTA ALLA VIOLENZA SESSUALE NEI CONFRONTI DELLE DETENUTE!” PRESENTATO UN NUOVO RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SULLA TURCHIA


Istanbul – Le donne che si trovano in stato di detenzione in Turchia rischiano la violenza sessuale da parte delle forze di sicurezza: e’ questa la denuncia lanciata oggi da Amnesty International in occasione della presentazione del rapporto Basta alla violenza sessuale nei confronti delle detenute!

Secondo il rapporto, donne di ogni origine sociale e culturale sono sottoposte ad abusi, aggressioni e stupri durante la detenzione. Particolarmente a rischio sono le donne curde e coloro che hanno idee politiche inaccettabili dal punto di vista delle autorita’ o dell’esercito.

Il rapporto di Amnesty International si basa su ricerche condotte nel corso del 2002 e su due visite compiute in Turchia a giugno e settembre dello stesso anno. L’organizzazione sottolinea che, dopo la stesura del rapporto, il governo in carica e’ cambiato.

“Le conclusioni del rapporto rappresentano una sfida per il governo, che deve trasformare in realta’ le proprie dichiarazioni di intenti sui diritti umani” – ha dichiarato Patrizia Carrera, responsabile del coordinamento Europa occidentale della Sezione Italiana di Amnesty International. “Il nuovo governo non deve proseguire sulla strada del precedente, ma prendere misure concrete per risolvere il problema
della violenza sessuale nei confronti delle donne”.

Le donne che hanno subi’to violenza sessuale riescono con estrema difficolta’ a parlare e a ottenere giustizia: l’ostracismo nei loro confronti, la discriminazione da parte della societa’ e il concetto di “onore” costringono al silenzio molte di esse. Quando gli autori della violenza sessuale sono rappresentanti dello Stato, il loro comportamento rafforza quella cultura della violenza e della discriminazione che pone tutte le donne in pericolo. Amnesty International teme che essi ricorrano alla tortura, sotto forma di stupri e aggressioni sessuali, sapendo che le sopravvissute difficilmente vorranno denunciare l’accaduto.

Secondo le denunce ricevute da Amnesty International, le detenute vengono spesso denudate da agenti di sesso maschile durante gli interrogatori che si svolgono nelle stazioni di polizia o in prigione. In questa situazione le donne rischiano fortemente di subire violenze e umiliazioni.

Le detenute vengono anche costrette a sottoporsi a “test della verginita’”, allo scopo di punirle ed umiliarle. Le conseguenze di questi test su molte donne esaminate e il cui imene risulta non piu’ integro, sono devastanti: violenze, umiliazioni e in alcuni casi la morte. La semplice minaccia di un test puo’ essere sufficiente a provocare traumi psicologici; il rifiuto di un test puo’ essere considerato come una “offesa all’onore” ed essere causa di ulteriori abusi sessuali.

Amnesty International e’ a conoscenza di casi di donne sottoposte a violenza sessuale di fronte ai propri mariti o familiari per ostringere questi ultimi a “confessare” o, strumentalizzando il concetto di “onore”, per ledere la reputazione della famiglia o della comunita’ di origine della vittima.

Dopo aver intervistato oltre cento detenute a Diyarbakir, Mus, Mardin, Batman e Midyat, la Commissione delle avvocate di Diyarbakir ha concluso che praticamente tutte le donne erano state sottoposte a “test della verginita’” e che quasi tutte avevano subito abusi sessuali, sia verbali che fisici, mentre si trovavano in custodia della polizia.

“Allo stupro e alla violenza sessuale si aggiunge l’assenza di protezione e di risarcimenti nei confronti delle vittime” – ha affermato Carrera.

Le donne che hanno subito violenza sessuale devono spesso fare i conti con un diffuso ostracismo. Altre sono costrette a lasciare le proprie case, con o senza la famiglia. Molte, spesso, non denunciano l’accaduto perche’ ritengono che gli autori non saranno puniti.

Coloro che denunciano le violenze sessuali commesse da rappresentanti dello Stato rischiano di subire ulteriori abusi, azioni legali, minacce ed arresti. Le avvocate che le rappresentano, a loro volta, vengono perseguitate dalle autorita’, dai mezzi
d’informazione e dai propri colleghi.

Ottenere un risarcimento e’ particolarmente difficile nei casi in cui gli autori della violenza sessuale siano rappresentanti dello Stato, tanto per la scarsita’ delle inchieste quanto a causa di una legislazione assai protettiva nei confronti dei pubblici ufficiali sotto inchiesta. Secondo la legge, trascorso un certo periodo di tempo dal compimento di un reato, una persona indagata non puo’ piu’ essere condannata: diversi procedimenti, nei confronti di poliziotti accusati di tortura, sono terminati in quanto gli imputati non si sono presentati alle udienze, i loro avvocati hanno rimesso il mandato oppure non hanno fornito le prove richieste entro i termini stabiliti.

“I rinvii nei procedimenti non solo ritardano la giustizia ma fanno si’ che gli autori della violenza sessuale, alla giustizia, non siano proprio chiamati a rispondere” – ha sottolineato Carrera.

La discriminazione nei confronti delle donne e la violenza sessuale sono fenomeni correlati. Quando un rappresentante dello Stato assume un comportamento discriminatorio, non solo dimostra di non voler rispettare i diritti delle donne ma contribuisce anche a perpetuare una cultura della violenza nei confronti di tutte le donne.

“Commettere violenza contro le donne, da parte di chi rappresenta le istituzioni dello Stato, significa trasmettere un chiaro messaggio di indulgenza verso atti di violenza in ogni settore - nelle istituzioni, all’interno della famiglia, nei rapporti individuali – e mettere in pericolo ogni donna. Questa situazione non puo’ rimanere cosi’!” – ha concluso Carrera.

Amnesty International chiede al governo turco di intraprendere profonde riforme per porre fine alla violenza sessuale nei confronti delle donne, tra cui:
- porre fine alla prassi di bendare e denudare le detenute durante gli interrogatori;
- porre fine alle perquisizioni corporali delle detenute da parte di personale maschile;
- vietare l’uso delle bende intorno agli occhi nelle stazioni di polizia;
- portare di fronte alla giustizia coloro che compiono e che ordinano le violazioni dei diritti umani.
 
IRAQ: LA SEGRETARIA GENERALE DI AMNESTY INTERNATIONAL A COLLOQUIO CON RE ABDULLAH DI GIORDANIA


“I diritti umani e i bisogni umanitari della popolazione irachena devono essere in cima all’agenda del dibattito sull’Iraq”, ha dichiarato Irene Khan, Segretaria Generale di Amnesty International al termine di una sua visita in Giordania. Parlando dopo l’udienza avuta con Sua Maesta’ Re Abdullah bin Hussein, Irene Khan ha accolto con favore le parole del Re sulla necessita’ di una piu’ grande attenzione per la situazione umanitaria dell’Iraq in caso di guerra.

Re Abdullah ha assicurato che, in tale eventualita’, la Giordania dara’ protezione ai rifugiati e garantira’ accesso alle organizzazioni
internazionali.
“La Giordania ha una lunga tradizione nell’accoglienza ai rifugiati” – ha dichiarato Irene Khan. “La comunita’ internazionale deve aiutare
la Giordania e altri paesi confinanti e assicurare i fondi necessari per proteggere e assistere le persone in fuga”.

In un momento in cui la minaccia di guerra fa aumentare le tensioni e la liberta’ di espressione e di assemblea e’ sottoposta a crescenti pressioni, la Segretaria Generale di Amnesty ha sottolineato la necessita’ che in Giordania sia garantita la protezione dei diritti umani. Irene Khan ha apprezzato le parole del Re secondo cui “la gente dev’essere in grado di esprimere le proprie opinioni” e la sua disponibilita’ a riesaminare la legislazione interna, in particolare la legge 54 del 2001, che viene usata per limitare la liberta’ di espressione ed e’ causa di arresti e condanne.

La visita di Irene Khan in Giordania fa parte di una campagna di pressione di Amnesty International sugli Stati membri delle Nazioni
Unite, compresi quelli della regione mediorientale, per assicurare che i diritti umani e le conseguenze umanitarie della crisi irachena
siano oggetto della piu’ totale considerazione.

Amnesty International chiede l’autorizzazione di visitare l’Iraq dal 1983 ed ha recentemente ricevuto una positiva risposta dal governo
di Baghdad. “Stiamo cercando un dialogo serio. Siamo consapevoli che nell’attuale clima politico la situazione dei diritti umani puo’
essere oggetto di manipolazione da ogni parte. Ma abbiamo il dovere di cercare una risposta alle gravi preoccupazioni per i diritti
umani in Iraq che nutriamo da decenni”.
 
RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL SULLA BOSNIA ERZEGOVINA: E’ IL MOMENTO DI PORRE FINE ALL’IMPUNITA’ PER LE “SPARIZIONI”

Le autorita’ della Bosnia e la comunita’ internazionale devono adottare misure immediate per affrontare l’enorme numero di casi
irrisolti di ‘sparizioni’: lo ha dichiarato oggi Amnesty International, rendendo pubblico un nuovo rapporto sul continuo e devastante
impatto di questa grave violazione dei diritti umani.

Si stima che, dopo la fine della guerra, la sorte di oltre 17.000 persone rimanga avvolta dal mistero. Molte di esse sono ‘scomparse’ dopo essere state viste per l’ultima volta nelle mani delle varie forze armate e si teme siano morte.

In questi anni sono stati fatti straordinari progressi nel riconoscimento delle persone “scomparse” attraverso il processo di esumazione e identificazione dei corpi. La Bosnia vanta infatti uno dei piu’ sofisticati sistemi di analisi del Dna nel mondo.

“Ora e’ necessario che le autorita’ del paese introducano una nuova legislazione, che renda la ‘sparizione’ un crimine e consenta
finalmente di perseguirne gli autori” - ha affermato Paolo Pignocchi, responsabile del Coordinamento Europa orientale di Amnesty
International, aggiungendo che la revisione in corso della legislazione penale costituisce un’opportunita’ ideale per prendere
questi provvedimenti.

E’ arrivato il momento di onorare le vittime delle “sparizioni”, mettendo sotto inchiesta e perseguendo penalmente i responsabili e concedendo risarcimenti ai parenti e alle persone rimaste prive di mezzi che ancora non sono in grado di rifarsi una vita. Inoltre e’ necessario che, per favorire la riconciliazione e rimarginare le ferite ancora aperte, la gente conosca la vera storia di queste violazioni,
che continuano a tormentare e dividere la societa’ bosniaca.

Amnesty International ha ribadito la propria richiesta alla comunita’ internazionale, in particolare alla Missione di polizia dell’Unione
Europea (EUPM) recentemente insediatasi in Bosnia, di attuare sul serio il dichiarato impegno in favore dei diritti umani e di incoraggiare e supervisionare le indagini della polizia sulle ‘sparizioni’ in modo da fornire una solida base per procedimenti giudiziari efficaci ed imparziali.

Secondo l’organizzazione per i diritti umani, quei pochi risultati sin qui ottenuti potranno essere pregiudicati se non si agira’ immediatamente. In quella manciata di casi in cui sono state aperte inchieste su casi di ‘sparizione’, cio’ e’ stato dovuto alla tenacia
dei parenti e degli amici delle vittime e alla professionalita’ e al coraggio di qualche ispettore di polizia o magistrato.

“C’e’ evidente bisogno di un monitoraggio a lungo termine e dell’opera di osservatori sui diritti umani impegnati e competenti all’interno della comunita’ internazionale. Se la loro azione sara’ ulteriormente indebolita, non restera’ speranza per i molti casi irrisolti” - ha detto Pignocchi. “E’ indispensabile che le autorita’ bosniache, a tutti i livelli, e la comunita’ internazionale elaborino ed attuino una strategia complessiva per affrontare queste violazioni dei diritti umani.”

Oltre a portare una giustizia da lungo tempo attesa per tutte le vittime, i procedimenti giudiziari su specifici casi di ‘sparizione’
costituiranno la cartina di tornasole del complesso, lento e costoso processo di riforma del sistema giudiziario e degli organismi
responsabili dell’applicazione della legge. Queste riforme hanno costituito una priorita’ elevatissima per la comunita’ internazionale
negli ultimi anni, in particolare in vista della prevista chiusura, nel 2008, del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia.

“Un sistema giudiziario dev’essere in grado di riparare alle violazioni dei diritti umani, ‘sparizioni’ comprese” - ha aggiunto Pignocchi.
“Altrimenti, per quanto le sue regole e le sue strutture siano state ammodernate e riorganizzate con ampio dispendio di soldi, dal punto di vista degli esseri umani i cui diritti sono stati violati si trattera’ solo della dimostrazione del trionfo dell’apparenza sulla sostanza.”

dimanche, mars 09, 2003

 
Dalla newsletter C@c@o:

Ma quanto e' malvagio Saddam Hussein? di Dario Fo, Franca Rame, Jacopo Fo


La guerra si fa sempre piu' vicina e apparentemente inarrestabile.
Stati Uniti e Impero Britannico continuano a ripetere che Saddam e' troppo malvagio e pericoloso per essere lasciato al suo posto.
L'infuriare del dibattito sulla guerra ha pero' oscurato l'esatta valutazione delle colpe di Saddam Hussein. Incredibilmente sono usciti pochissimi articoli dedicati alla ricostruzione della storia criminale di questo dittatore.
E puo' apparire molto strano che cio' accada. Ma come? I potenti devono dimostrare che Saddam e' l'incarnazione del male eppure i media accennano solo vagamente al non rispetto dei diritti umani, alle violenze, alle barbarie, ai crimini contro l'umanita', compiuti da questo serial killer?
Strano perche' generalmente la societa' dello spettacolo non e' avara di informazioni quando si tratta di demolire un nemico pubblico numero uno.
Ma con Saddam Hussein questa regola non vale.
Ci siamo chiesti a lungo come mai ci sia questa incomprensibile lacuna e alla fine siamo riusciti a decifrare il mistero.
Per una serie di casualita' fortunate siamo entrati in possesso della registrazione del dialogo tra un giornalista e il direttore di una rete televisiva (che per ovvie ragioni di riservatezza non possiamo nominare), un dialogo che riguarda proprio la trasmissione di un documentario sui crimini di Saddam Hussein. Eccolo:

DIRETTORE: "Allora e' pronta la scaletta di questo servizio?"
GIORNALISTA: Si certo. Partiamo con un pezzo sulla tortura in Irak. Scosse elettriche, frustate, stupri. La particolarita' dell'uso della tortura in Irak e' la vastita'. Migliaia di persone vengono torturate non per conoscere da loro informazioni ma solo per ottenere uno stato di terrore diffuso. Si tratta di una tortura preventiva praticata a livello industriale. Una manifestazione della forza del potere.
DIRETTORE: "Bene, ottimo, e poi?"
GIORNALISTA: Poi parlerei della corruzione del potere, della soppressione delle liberta' elementari, di intrusione insopportabile nella vita economica. Solo chi e' amico di Saddam Hussein puo' fare affari in Iraq. Anche a livello internazionale l'economia irachena e' basata sulle amicizie del dittatore. Non a caso la Francia e' contraria alla guerra. Sono i principali alleati economici dell'Irak. Se gli Usa vincono la guerra sono fuori dal gioco."
DIRETTORE: "Bene ma sorvoliamo sul fatto che se gli Usa vincessero la guerra si troverebbero a controllare l'economia irachena...Non vorrei dar corda ai piagnistei pacifisti sul sangue versato per il petrolio."
GIORNALISTA: "Va bene. Poi affronterei il capitolo di Hussein criminale contro l'umanita'."
DIRETTORE: "Bello su cosa e' incentrato?"
GIORNALISTA: "Hussein e' l'unico dittatore vivente ad aver infranto le convenzioni di Ginevra utilizzando gas contro popolazioni civili e soldati.
Si tratto' di un vero e proprio massacro.
Hussein e' un pessimo stratega e nel 1980 attacco' l'Iran dei fondamentalisti islamici convinto di conquistarlo rapidamente. Invece si trovo' a mal partito e quando l'esercito iraniano varco' il confine entrando in Iraq lui uso' vari tipi di gas letali contro le truppe."
DIRETTORE: "Bello, ci metta anche un pezzo di repertorio che dimostri che fin da allora gli Stati Uniti denunciarono questo crimine tremendo.
GIORNALISTA: "Non e' possibile."
DIRETTORE: "E perche'?"
GIORNALISTA: "Gli americani in quel periodo appoggiavano Saddam con tutte le loro forze. C'e' chi mormora che furono addirittura loro a procurare armi all'esercito iracheno. Erano terrorizzati all'idea che l'Iran potesse vincere la guerra."
DIRETTORE: "Ma cosa mi dice...Parrebbe quasi che siano stati gli Stati Uniti a sostenere questo criminale...Non diciamo sciocchezze e saltiamo questo pezzo, e' troppo ambiguo..."
GIORNALISTA: "Va bene. Possiamo allora occuparci del genocidio del popolo curdo. Un vero martirio. Bombardamenti, uso di gas, massacri di interi villaggi, deportazioni e ancora una volta l'uso della tortura e dell'omicidio come sfoggio di potere. Si parla di centinaia di migliaia di morti in gran parte donne e bambini."
DIRETTORE: "Questo si. E qui abbiamo qualche presa di posizione degli Stati Uniti?"
GIORNALISTA: "No, perche' gli Usa erano preoccupati della presenza dei comunisti nel movimento di indipendenza curdo. Tra l'altro i curdi vivono in gran parte anche in Turchia che e' alleata degli Usa e che si e' adoperata con notevole ferocia per massacrare la parte dei curdi di sua competenza."
DIRETTORE: "Ma mi sta diventando comunista anche lei? Come si puo' dare in pasto ai telespettatori una storia cosi'...Potrebbero credere che noi si voglia delegittimare il presidente Bush...Lasciamo perdere."
GIORNALISTA: "Non sono comunista. Comunque va bene. Ci resta di parlare dello sterminio dell'opposizione politica interna. Saddam Hussein ha ucciso tutti quelli che non erano d'accordo con lui. E' arrivato ad ammazzare suoi intimi collaboratori, perfino i due mariti delle sue figlie. Un vero killer a tempo pieno."
DIRETTORE: "E adesso non mi dica che anche in questo caso non abbiamo una qualche protesta statunitense, un'interpellanza all'Onu, qualcosa."
GIORNALISTA: "Lei mi accusa di essere troppo di sinistra ma non e' cosi'. Gli Stati Uniti a quei tempi dovevano difendere l'Occidente dalla minaccia comunista. I piu' grandi massacri avvennero alla fine degli anni settanta. Non potevano attaccare Saddam mentre il suo potere era minacciato dal potente partito comunista iracheno. C'era una ragione di stato da difendere. Cosa avrebbero dovuto fare: regalare alla dittatura sovietica il medio oriente?
Si figuri che la forza dei comunisti era tale che Hussein dovette ammazzarne decine di migliaia prima di ridurli alla ragione."
DIRETTORE: "Si stiamo freschi. Adesso viene fuori che solo i comunisti si opponevano a questo criminale nazista. Ha trovato qualche cosa di piu' potabile?
GIORNALISTA:"Beh! potremmo raccontare del massacro di 500 mila bambini morti per mancanza di cibo e di cure negli ultimi dieci anni. Saddam ha continuato a spendere miliardi in armi e lussi sfrenati, facendosi costruire palazzi sotterranei e statue mentre il suo popolo moriva di stenti."
DIRETTORE: "No per carita', qui cadiamo nella questione dell'embargo, con i pacifisti che gridano che sono alla fin fine gli Usa gli ultimi responsabili di questo genocidio."
GIORNALISTA:"Allora ci resta solo il massacro dei ribelli: durante la guerra del 1991, ci furono decine di migliaia di morti, interi villaggi rasi al suolo...Ma anche di questo non possiamo parlare perche' fu Bush padre a autorizzare Saddam all'uso degli elicotteri per bombardare le popolazioni che erano insorte sperando che la vittoria usa determinasse un cambio di regime..."
DIRETTORE: "Va beh! ho capito, lei e' un pessimo giornalista politico. La trasferisco allo spettacolo. Mi faccia un servizio sugli amori della Gerini. Dieci minuti non di piu'".

Dario Fo, Franca Rame, Jacopo Fo
 
Dalla newsletter di Emergency: un documento che gira in internet "Perchč si fa una guerrra"

Abbiamo ricevuto da molti mittenti diversi un documento in .ppt dal titolo "Perche' si fa una guerra" e abbiamo ricevuto anche molte mail che attribuivano quel documento a noi, dato che nell'ultima pagina si suggerisce di firmare il nostro appello.
Smentiamo qualsiasi "paternita'" di quel documento, ma per poter rispondere a chi ci ha scritto abbiamo fatto ricerche:
In prima pagina il documento faceva riferimento a una lezione tenuta al Politecnico di Milano. Abbiamo contattato il docente del corso, che ci ha inviato quanto segue:
"Tutto č nato da una risposta a una domanda al termine di una lezione del mio corso. Ho fatto alcune deduzioni quantitative (quelle che compaiono nelle prime diapositive) partendo da dati attinti dal libro di Lucia Annunziata sulla guerra del golfo, che riportavo a memoria. Riproduco qui il passo originale
"Dieci anni fa "Desert Storm" costň 60 miliardi di dollari … Naturalmente, il costo della guerra non č un vero problema … l'ottanta per
cento fu pagato dai paesi arabi che avevano chiesto l'intervento contro l'invasione. Ovviamente, in quel periodo il costo del petrolio passň da 15 $ a 40 $ a barile, perché le nazioni che pagavano ricuperassero le spese."
(Lucia Annunziata, NO, la seconda guerra irachena e i dubbi dell'occidente, Donzelli Editore, Roma, 2002, pag. 105.)

Uno studente ha creato a mia insaputa il file che sta circolando, indicando solo indirettamente che la redazione non č mia ("Tratto da …"), senza precisare che citavo a memoria (le cifre reali sono piů alte da quelle da me riportate), introducendo alcune imprecisioni (ad esempio che le "sette sorelle [sono], tutte americane, di cui 5 di proprietŕ statale") e notizie di cui non conosco l'attendibilitŕ (il riparto degli utili del petrolio tra governo e privati).

Ho rintracciato l'autore attraverso i suoi colleghi; ecco quanto mi ha scritto:

"""

Ho appreso dai miei compagni di corso che sono nati dei problemi attorno ad un file di powerpoint che ho creato qualche tempo fa. Toni allarmistici mi parlavano di "cose che non vanno fatte in questo modo..." eccetera.
Non capisco da dove saltino fuori tutte queste problematiche. Il file non č nient'altro che la risposta alle richieste di spiegare piů
chiaramente quello che, a parole, avevo provato a raccontare ai miei amici.
Ho appreso che sono nate controversie anche sulla questione della fonte. Nel documento, ho chiarito subito che quelle non erano le sue esatte parole; ho messo "tratto da...", e mi sembra chiaro come questo voglia dire che si tratti di una mia rielaborazione di quanto ho sentito, attraverso l'aggiunta di mie informazioni e mie considerazioni.
Non vedo neanche tutto questo alone di mistero attorno a chi fosse l'autore del file: quando l'ho spedito ai miei amici, non l'ho fatto in
modo segreto! Ho normalmente usato la mia e-mail, senza camuffare in alcun modo il mio nome. E dopotutto, non vedo perchč avrei dovuto farlo.

Sono comunque cosciente che il file, inevitabilmente, contiene degli errori, anche perchč l'ho composto "a memoria" dopo alcune settimane da quanto avevo sentito.
Sarei contento di poterlo sistemare, per diffondere il piů possibile notizie aderenti al vero.
Buona giornata,
Roberto R.
"""

In conclusione dati veri, ma un poco di "semplicitŕ" nel riportarli e soprattutto nessuna consapevolezza dell'enorme potenza diffusiva della rete: questo piccolo esempio mostra quale sia l'effetto di una crescita geometrica del numero dei messaggi.

Milano, 28 Febbraio 2003
Rodolfo Soncini Sessa
"

Da parte nostra aggiungiamo che la velocitŕ con cui il documento č circolato dimostra anche quanta voglia di informazione ci sia e - di
conseguenza - quanto sia fondamentale che l'informazione sia sempre corretta, cosa che noi di Emergency ci impegnamo a fare.
Sarebbe buona cosa - prima di inoltrare un documento, di qualsiasi natura sia - verificare prima alla fonte la sua veridicitŕ e non dare per scontato che qualsiasi cosa arriva nella nostra casella postale (sia che si tratti di un allarme virus che di un documento sulla guerra) sia veritiera e corretta.

Grazie a tutti.
Ketty

"Su cio' di cui non si puo' parlare, non si deve tacere... ma si deve scrivere"

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