Mandate una cartolina Feltrinelli contro la guerra
I testi:
Gino Strada, Buskashě
Non credere una parola, ogni volta che cercheranno di spiegare come sarŕ bella la guerra futura, tecnologica, selettiva "umanitaria". Sarŕ solo un altro carico di morte e di miserie umane.
Mohandas Karamchand Gandhi, Per la pace
La libertŕ e la democrazia diventano empie quando le mani si arrossano di sangue innocente.
Lella Costa, In tournée
Durerŕ pochi giorni, commentavamo mentre tornavamo a casa... Poi tutto tornerŕ come prima. Ed č esattamente cosě che fa la guerra. Si insinua, si mischia alla vita normale, quotidiana delle persone, delle cittŕ.
Jaroslav Hašek, Il buon soldato Sc'včik
Dopo la guerra, qui, ci saranno ottimi raccolti. Non avranno bisogno di comperarsi la farina di ossa, per i contadini č molto vantaggioso quando nei loro campi vanno in putrefazione reggimenti interi; in sostanza č tutta roba che serve per arricchire il terreno.
Edoardo Sanguineti, Il gatto lupesco - Poesie
principe giusto, grido forte, allora,
guerra non fare, non fare battaglia,
non la bomba A, non la N, non l'H,
che va cosě, come la spacca spacca:
Gino Strada, Pappagalli verdi
La rabbia lasciava il posto alla tristezza, quella che riempie la mente quando non c'č piů la possibilitŕ di capire, quando č svanita la ragione ed č solo follia.
Vandana Shiva, Le guerre dell’acqua
Questa nuova guerra sta creando una spirale di violenza e diffondendo il virus dell'odio. segnalato da una MenteLunatica alle 9:04 PM
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Un anticipo dello spettacolo di Dario Fo, Franca Rame, Jacopo Fo
John Le Carre', famoso umorista satirico, ci ha dato un ottimo spunto di dialogo sarcastico fra un bambino e suo padre. Noi abbiamo preso in prestito le prime due battute iniziali per svilupparlo.
BAMBINA: (rivolta al padre) Papa', tutti a scuola ogni giorno, a cominciare dalla maestra, parliamo della guerra, e' una guerra umanitaria, e' vero, papa'?
PADRE: Si', gli americani contro gli arabi.
BAMBINA: Noi siamo con gli americani, vero?
PADRE: Si', e' naturale, siamo coi piu' forti.
BAMBINA: Molto forti, papa'?
PADRE: Si', strapotenti!
BAMBINA: Allora vinceremo, papa'!
PADRE: Ah, non c'e' dubbio.
BAMBINA: Sono contenta che vincano i buoni, perche' noi e gli americani siamo i buoni, vero papa'?
PADRE: Certo, i buoni contro i cattivi!
BAMBINA: Che sono gli arabi, vero papa'?
PADRE: Si'... no, non tutti gli arabi sono cattivi... quelli del Kuwait e dell'Arabia Saudita, per esempio sono buoni.
BAMBINA: La maestra dice che i buoni americani stanno lanciando un sacco di bombe, una al minuto, sugli arabi cattivi... e' vero papa'?
PADRE: Si', esattamente 3000 bombe in 48 ore.
BAMBINA: Mamma mia... e bim-bom-bom... chissa' che rumore! Allora ci saranno molti morti...
PADRE: Credo che si', e' inevitabile.
BAMBINA: Anche bambini?
PADRE: Si', ma sono stranieri, altra gente. Noi non li conosciamo.
BAMBINA: Non li conosco neanch'io! Beh, meno male. Sono contenta di non conoscerli. Sono bambini cattivi papa'?
PADRE: No, ma che c'entra... i bambini non hanno nessuna colpa... poverini, sono innocenti.
BAMBINA: Innocenti come quelli della strage di Erode?
PADRE: Ma cosa c'entra? Erode era cattivo e non amava i bambini, anzi li odiava.
BAMBINA: Allora anche gli americani...
PADRE: Ma no, non far confusione! E' per via che 'sti bambini arabi per caso si trovano li'...
BAMBINA: In un posto dove non dovrebbero essere...
PADRE: Si', fuori posto... nel posto sbagliato, proprio dove cadono le bombe... e' un incidente involontario... vittime collaterali.
BAMBINA: E allora perche' gli americani non gridano con l'altoparlante "Bambiniiii collaterali spostatevi tutti di la'! Tutti i bambini vadano nei prati... lontano dalle case e dai palazzi... che noi dobbiamo buttare bombe sulla citta'!"
PADRE: Ma figurati... gli americani mica possono avvertire dove vanno a buttare le bombe, senno' tutti scappano dalla citta' e allora il loro programma dove va a finire?
BAMBINA: Che programma, papa'?
PADRE: Quello che chiamano "colpisci e terrorizza" . Chi terrorizzano se scappano tutti!
BAMBINA: Oh, che stupida che sono! E poi se dicono ai bambini "Fuori, andate nei prati!" ci vanno anche le mamme e i papa' travestiti da bambini.
PADRE: Ecco, si', mettiamola cosi'. Adesso pero' mettiti tranquillo e mangia, che si raffredda tutto.
BAMBINA: Si', si'... mangio... pero' intanto spiegami papa'... non e' mica contro tutti gli arabi che l'America fa la guerra?
PADRE: Ma scherziamo, di certo che no. I musulmani sono piu' di un miliardo... staremmo freschi!! La guerra si fa solo contro gli iracheni che sono sei milioni in un territorio piu' grande del nostro.
BAMBINA: Ah, ecco... allora sono solo loro i cattivi.
PADRE: Beh, per adesso...
BAMBINA: Come per adesso?
PADRE: Beh, diciamo che adesso, in 'sto momento gli iracheni sono i cattivi piu' pericolosi.
BAMBINA: Ah, eh gia'... allora diciamo che gli altri sono piuttosto buoni, buonini, buonaccioni... sono poveri ma buonissimi.
PADRE: No, non sono tutti poveri, ce ne sono anche di molto ricchi...
BAMBINA: Ma come mai... se hanno solo della gran sabbia e cammelli?
PADRE: E no, hanno anche il petrolio... hanno i giacimenti di petrolio piu' ricchi del mondo!
BAMBINA: Ah, ho capito, quelli che hanno tanto petrolio sono i piu' buoni, e quelli senza, sono i cattivi.
PADRE: Beh, non esageriamo...
BAMBINA: Si', non esageriamo. Adesso che mi viene in mente... la maestra dice che i capi americani sono tutti petrolieri...
PADRE: Beh, in un certo modo e' vero.
BAMBINA: E ai petrolieri ci piace il petrolio. E com'e' che tutti quelli che hanno il petrolio vanno d'accordo fra di loro e si vogliono bene?
PADRE: No, non e' cosi' semplice... tanto per cominciare, per esempio, questo capo degli arabi iracheno, che si chiama Saddam, ha tanto petrolio eppure e' cattivo.
BAMBINA: Ma va? Un petroliere cattivo?! Com'e' possibile! Pero' se questo arabo cattivo da' tutto il suo petrolio agli americani... allora diventa buono!
PADRE: No, non e' cosi' semplice...
BAMBINA: Non e' semplice, non e' cosi' semplice... pero' e' cosi'!! Di' di no!?
PADRE: Ma che ne sai tu, una bambina, di certe cose da grandi.
BAMBINA: La mia maestra ha detto che si', gli americani vogliono il petrolio dell'arabo cattivo, perche' a loro gli piace e vogliono il petrolio anche degli altri...
PADRE: Quali altri?
BAMBINA: Aspetta che ce l'ho qui scritto sul mio diario... eccoli qua: quello del Sudan, quello della Libia, quello dei Siriani... Emirati del Golfo, i Colombiani...
PADRE: Basta cosi'! Quella tua maestra e' una chiacchierona sovversiva... domani vado dal preside, la faccio cacciare e a te ti cambio di scuola!
BAMBINA: E allora se tu vai dal preside a fare 'sta porcata, io non vado piu' a scuola... (scoppia a piangere) in nessun'altra scuola!
PADRE: Cosa? Come ti permetti di rispondere cosi' a tuo padre? Vieni qua che ti do uno schiaffo!
BAMBINA: (sempre piangendo) Va bene, fai pure, dammi tutti gli schiaffi che vuoi... e io telefono al Telefono Azzurro e dico che sei cattivo e che oltre a picchiarmi vuoi cacciar via la mia maestra che ci insegna cosi' bene... e ci insegna facendoci giocare... (continua a piangere).
PADRE: Su, non piangere... Sentiamo... che gioco giocate per imparare?
BAMBINA: La battaglia cielo-terra, che noi chiamiamo anche portaerei e missili.
PADRE: Ah, una specie di battaglia navale...
BAMBINA: Si', con delle regole uguali a quelle di Risiko e Monopoli con tanto di dadi e carte da pescare.
PADRE: Che carte?
BAMBINA: Quelle normali: c'e' il re di picche che e' la Russia, poi il re di fiori la Francia, la regina di cuori l'Inghilterra, l'asse pigliatutto l'America.
PADRE: Ah, simpatico.
BAMBINA: Si', molto... ci divertiamo un sacco.
PADRE: E il presidente degli italiani... che carta e'?
BAMBINA: Il due di picche... cerca di leccare i piedi a tutti i re ma nessuno lo caga!
PADRE: Ehi, dico... e' questo il modo di esprimersi?
BAMBINA: Non lo dico io, e' il titolo del gioco "Mettiti col piu' forte senno' nessuno ti caga".
PADRE: Basta! Basta. Mangia e taci!
BAMBINA: Si' mangio... ma a lui non lo caga nessuno lo stesso!
Dario Fo, Franca Rame, Jacopo Fo segnalato da una MenteLunatica alle 9:01 PM
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Care amiche, cari amici,
giovedi’ 27 marzo, alle ore 20,30 (non alle 21 come annunciato inizialmente) andra’ in onda lo spettacolo di Dario Fo e Franca Rame: Ubu-Bas Va alla guerra. Questo spettacolo verra’ trasmesso da un gruppo di 19 (per ora) televisioni locali, verra’ inoltre trasmesso via satellite e anche via internet. In questo momento sentiamo la necessita’ di tentare di raggiungere un pubblico il piu’ vasto possibile per raccontare alcuni fatti che le televisioni censurano sulla guerra in Iraq e Afghanistan, sul petrolio e sugli interessi che stanno dietro a questi conflitti.
Abbiamo quindi deciso di tentare di affiancare le iniziative televisive che il movimento sta sviluppando con le televisioni di strada, Global Tv e No War Tv, con un esperimento di tipo teatrale. Se ci riusciremo sara’ un risultato positivo dal punto di vista dell’informazione ma anche un esperimento nel processo di creazione di una
Tv indipendente. Noi non abbiamo intenzione di fondare una tv, non abbiamo ne’ i mezzi ne’ le capacita’ ma crediamo utile sapere che tipo di risposta potrebbe incontrare uno spettacolo teatrale diverso.
Chiediamo quindi a tutti di aiutarci a diffondere la notizia.
La trasmissione sara’ visibile sui seguenti canali locali e su internet (solo per chi ha una connessione adsl) all’indirizzo www.francarame.it dove troverete anche la lista, via via aggiornata, delle televisioni che
accetteranno di trasmettere lo spettacolo e (a partire da lunedi’) le indicazioni per vedere la trasmissione via satellite. Inoltre lunedi’ 24, a Milano, al teatro Ventaglio Nazionale, alle ore 20,45 si terra’ lo spettacolo ”Ubu Bas va alla guerra”. La registrazione di questa serata servira’ come base della trasmissione di giovedi’ 27. Sul sito troverete anche un banner che linka alla pagina dove ci sono tutte le informazioni, per chi volesse pubblicarlo sul proprio sito.
Piemonte Valle D’Aosta: Rete 7
Liguria: Tele Citta’
Lombardia: Tele Lombardia
Friuli: Tele Friuli
Venetono: Rtl-Rete Azzurra (circuito Europa 7)
Emilia Romagna: E’ Tv
Marche: Tv Centro Marche (circuito Europa 7)
Umbria: Umbria Tv
Toscana: Teleregione (circuito Europa 7)
Lazio: Tvr Voxon (circuito Europa 7)
Abruzzo e Molise: Tvq (circuito Europa 7)
Campania: Canale 8 (circuito Europa 7)
Calabria: Rtc (circuito Europa 7)
Puglia: Tele 2
Sicilia: Tele Etna - Tele Scirocco (circuito Europa 7)
Sardegna: Tcs- Tele Nova segnalato da una MenteLunatica alle 9:00 PM
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Ernest Hemingway, testimone e cronista di due guerre ...
Ernest Hemingway, testimone e cronista di due guerre europee, riferě cosě (cito a memoria) il commento di un ufficiale americano addetto al servizio stampa delle forze armate: «Se fosse per me, non direi ai giornalisti neppure che la guerra č scoppiata. A guerra finita, racconterei quello che č successo». Il desiderio di quell’ufficiale si č parzialmente avverato. Sappiamo che vi č una guerra e crediamo di vederne gli effetti (il fumo e i lampi nel cielo di Bagdad, i carri nel deserto, la fila indiana dei prigionieri iracheni), ma non possiamo verificare le notizie. Nell’era della comunicazione globale, dell’email e dei satellitari, la guerra č avvolta da un’impenetrabile nuvola di reticenza, imprecisioni e informazioni manovrate. Questa «nuvola» ha una storia che comincia in Vietnam negli anni ’60. Quella guerra fu il primo conflitto televisivo nella storia del mondo. I giornalisti di carta stampata, microfono e telecamera godettero, con qualche eccezione, di una straordinaria libertŕ. Erano negli accampamenti dove i soldati americani ammazzavano con la droga il tempo e la paura. Erano nella giungla, dove i soldati rischiavano continuamente la morte. Erano nei villaggi, dove la rabbia esplodeva talvolta, come a My Lai, in brutali rappresaglie. Erano negli aeroporti, da dove partivano i body bags , i sacchi dei cadaveri, per l’ultimo viaggio di ritorno.
Gettata nelle case americane e nei campus universitari, questa massa di informazioni creň un fronte interno, forse piů insidioso della giungla vietnamita. Anche se molti europei non colsero la gravitŕ del fenomeno, l’America di Johnson e Nixon fu scossa da un’ondata di rabbia popolare e di disobbedienza civile che sfiorň per alcuni mesi la soglia delle crisi rivoluzionarie.
Fu quello il momento in cui i responsabili politici e militari delle forze armate americane giurarono a se stessi che mai piů avrebbero combattuto a quel modo. Per evitarlo occorrevano due condizioni: in primo luogo armi moderne, tecnologicamente rivoluzionarie, che permettessero ai soldati di colpire senza morire; in secondo luogo il controllo totale dell’informazione. Di questa strategia abbiamo fatto una prima esperienza durante Desert Storm , nel ’91, quando i giornalisti ricevettero spesso, per tutta informazione, dei video di cui nessuno poteva dire con esattezza quando e dove fossero stati realizzati. E ne abbiamo avuto la conferma durante la missione in Kosovo e la guerra afghana, dove l’uso delle forze irregolari della Cia e l’intreccio dei rapporti con i baroni della guerra sono emersi gradualmente dopo il crollo del regime talebano.
Oggi la politica della reticenza si č arricchita di una variante. Insieme al silenzio sul reale risultato delle operazioni militari, registriamo un fenomeno apparentemente contrario: una straordinaria quantitŕ di immagini che danno a chi le vede la sensazione di conoscere tutto in presa diretta, insieme a una quantitŕ di notizie non verificabili, diffuse con i piů svariati mezzi dell’informazione globale. I primi ad accorgersene sono i giornalisti (alcuni dei quali, quattro soltanto nella giornata di ieri, per vedere da vicino la realtŕ, hanno giŕ perso la vita o sono dispersi). L’altra sera un conduttore della Cnn ha chiesto a una collega accreditata presso il Dipartimento di Stato: «Siamo davvero sicuri che i corrispondenti, diffondendo queste notizie, non facciano il gioco di qualcuno?». La giornalista ha risposto sorridendo: «Non sarebbe la prima volta». Un grande reporter americano scrisse un giorno: «I giornalisti non fabbricano le notizie, le consegnano come il lattaio consegna il latte al mattino». Ma quello, almeno, era latte buono. Come lo č quello di chi racconta ciň che vede, senza nessuna lente.
Non č un problema scolastico, ma di vita. Č la storia che ci costringe a imparare la geografia. Scusi: lei ne sapeva niente di Bassora? Non dica che aveva un’idea di dove si trova il porto di Umm Qasr. Una volta si diceva: «Nessuno piange per la morte di un mandarino cinese», poi abbiamo visto i poveri ragazzi di Piazza Tienanmen. Abbiamo visto perfino un uomo passeggiare sulla Luna, ma ci siamo resi conto di come č piů difficile camminare sulla Terra.
A un certo punto ci siamo chiesti: «Č giusto morire per Danzica?». Scusate: e per l’Iraq? Il regime di Saddam era quello di un «satrapo orientale». Ma i bambini morti in nome della libertŕ in un diluvio di bombe e di missili non fanno parte dell’eterna «strage degli innocenti»? Oggi č domenica: signore, non dimentichi di rincasare col consueto pacchetto dei pasticcini. La vita continua.
Č opera meritoria «disintegrare il regime di Saddam», ma quando vedo i bombardamenti mi convinco sempre di piů che il passato non insegna niente, e mi torna in mente il finale di All’ovest niente di nuovo , quando i bollettini degli alti comandi comunicano che non c’č nessun fatto rilevante e l’infelice protagonista, in quella falsa pace, se ne va all’altro mondo.
Noi, ufficialmente, siamo alleati dell’America, ma per fortuna (soprattutto loro) non belligeranti: diamo le basi, ma non siamo all’altezza.
Ogni guerra aggiunge qualche parola al linguaggio comune: da gas asfissiante a missile, il dizionario si allunga.
A Bagdad muore una dittatura e, credo, scappa o va all’altro mondo un tiranno. Ma resta un incubo: il terrore, la paura. C’č gente pronta a raggiungere Allah, ma in compagnia.
In tv, una «bomba» Cia contro Bush
La Ts1, emittente della svizzera italiana, manda in onda le false veritŕ del presidente Usa
di Antonello Catacchio
Giovedě scorso, 13 marzo, la televisione della Svizzera italiana, Tsi1, ha mandato in onda Falň, un contenitore informativo sulla scottante attualitŕ in prima serata, subito dopo il tg. Tra gli altri servizi ne viene presentato uno dal titolo Cia-Bush: come ti manipolo i servizi, a cura di John Goetz e Volker Steinoff. Dieci minuti stringati e spaventosi. Spaventosi perché presentano le testimonianze di tre ex agenti della Cia: Ray McGovern, Robert Baer e David McMichael. McGovern era stato a suo tempo anche stretto collaboratore di Bush padre. E racconta come dopo l'11 settembre l'agenzia sia stata sollecitata a trovare collegamenti tra gli attentati negli Usa e l'Iraq. L'intelligence indaga, ma non trova alcunché. E lo riferisce nel suo rapporto ufficiale al presidente. Ma George W. non se ne cura, anzi parla pubblicamente di collegamenti provati. E si prosegue, la Cia deve trovare le prove di armi di sterminio di massa in possesso di Saddam Hussein. Nessuna prova ma Bush legge il rapporto ufficiale e ne rovescia pubblicamente il senso. Terza sollecitazione: Saddam e l'atomica. L'intelligence dice che ci stanno lavorando ma che non potranno averla prima della fine del decennio. Poco importa, con il supporto della disinformazione televisiva, con Fox News in testa, si fa credere agli statunitensi esattamente l'opposto.
Intervistate le persone della strada si dicono infatti certe che Saddam sia implicato nella tragedia dell'11 settembre, che possieda armi di sterminio di massa e che possa usare le tante atomiche che detiene. Ma gli ex agenti Cia si spingono oltre. Visto che i loro rapporti basati sui fatti erano considerati insoddisfacenti, raccontano che Rumsfeld ha organizzato una sua squadretta speciale di intelligence. Non formata da agenti ma da incompetenti totali in termini di raccolta di informazioni, abili perň nel manipolare e comunicare falsitŕ rendendole credibili. Giornalisti, avvocati e comunicatori che hanno sostituito la Cia (che non č proprio un'istituzione neutrale) per costruire il clima adatto all'attacco.
In pratica la linea del presidente e del suo staff era giŕ decisa, ai servizi spettava solo di fornire le prove per rendere plausibile la volontŕ di guerra. Non avendo trovato quelle prove si č giocato di manipolazione. Con falsitŕ dichiarate, esplicite. Dieci minuti a loro modo formidabili nella capacitŕ di mostrare documenti, assemblare date, mostrare distorsioni e raccogliere testimonianze. Nessun dibattito, solo i fatti raccontati dai protagonisti. Ancora increduli di fronte al comportamento del proprio governo. Governo che hanno servito probabilmente sobbarcandosi anche lavori sporchi visto che operavano sul campo. Sporchi non a sufficienza per i disegni di guerra di George W. Bush.
Se giŕ il servizio č una piccola bomba, stupisce ancor piů il vederlo presentare in prima serata, dal conduttore e autore del programma Aldo Sofia senza grandi discussioni, tra un servizio dal titolo La volpe e l'uva, sul merlot ticinese e L'ultima cena di ötzi, la mummia alpina. Forse č la lezione che viene da secoli di neutralitŕ e non belligeranza, anche se sappiamo che non sempre le scelte confederali sono state limpide. Ma č soprattutto una piccola lezione di grande giornalismo. Laddove ci si affanna come se una guerra fosse solo una questione ideologica, qualcuno va alle fonti, trova informazioni di prima mano, raccoglie testimonianze e organizza un servizio coi fiocchi. Peccato che in Italia non si veda la tv svizzera.
Taglio illegale, guerra e povertŕ. Ecco il trinomio che sta portando le foreste africane all'esaurimento. La denuncia di Greenpeace
Taglio illegale, guerre e poverta': il trinomio che sta portando le foreste africane all'esaurimento. Nel corso della sedicesima sessione del Comitato per le foreste il rapporto FOSA avverte che la situazione delle foreste in Africa sara`caratterizzata da gravi e continue perdite del manto forestale, dal deterioramento ambientale, dall'esaurimento dei prodotti forestali non legnosi in generale e piante medicinali in particolare.
"I'Italia e' il primo importatore europeo di legname africano, di cui si calcola che per la meta' si tratti di legno illegale: il nostro paese ha grandi resposabilita' e grandi opportunita'" ha commentato Sergio Baffoni, di Greenpeace.
Lo scorso aprile, e' stato raggiunto un accordo tra Greenpeace e l'associazione di categoria (Fedecomlegno) che si era impegnata a combattere il le importazioni di legno illegale e da paesi in cui il settore forestale e' coinvolto in guerre. Ma indagini di Greenpeace rivelano che continua ad essere scaricato nei porti italiani legname proveniente da imprese che hanno fatto del taglio illegale la propria norma di condotta (Hazim), mentre non sono neppure cessati gli arrivi delle famigerate compagnie liberiane accusate dagli esperti delle Nazioni Unite di alimentare il conflitto in Africa Occidentale e svolgere un ruolo diretto nel traffico di armi (OTC). Questo rende il nostro paese fortemente vulnerabile proprio alla vigilia della presidenza italiana dell'Unione Europea, che dovra' lanciare il Piano di Azione contro il legno illegale, avviato gli scorsi mesi.
"Mentre investono milioni di dollari in misure per prevenire il terrorismo internazionale e la destabilizzazione regionale, i paese europei continuano a finanziare gli stessi focolai di guerra e terrorismo importando legname che viene utilizzato per finanziare cruenti conflitti" ha aggiunto Sergio Baffoni.
Gli strumenti legali per fermare l'illegalita' sono gia' da tempo a disposizione, ma non sono messi in pratica. Greenpeace ritiene che il governo debba urgentemente compiere alcuni passi, tra cui l'attuazione di convenzioni gia' sottoscritte, quella sui beni trafugati e quella sulla corruzione e sulla frode fiscale (Convenzione OCSE). Il governo dovrebbe poi impegnarsi ad acquistare esclusivamente prodotti forestali e derivati certificati secondo gli standard di buona gestione forestale come indicati dal FSC e al controllo dei flussi finanziari e delle agenzie di credito alle esportazioni.
Tratto da: www.greenpeace.it segnalato da una MenteLunatica alle 9:01 PM
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Quando a far notizia sono i silenzi e le omissioni dei media: quale informazione sugli oltre 30 milioni di africani a rischio carestia e conflitti nel Corno d'Africa e in Africa australe?
L'anno scorso, in vaste regioni del Corno d'Africa le piogge Belg (che arrivano da Febbraio a Maggio) non sono venute e le grandi piogge Meher (da Giugno a Settembre) sono arrivate troppo tardi: i raccolti erano in gran parte in uno stato irrecuperabile. La carestia che si prospetta potrebbe essere peggiore di quella che nel 1984 provocň un milione di morti e minaccia oltre 30 milioni di persone. Ma la crisi riguarda anche Africa Occidentale e Africa Australe.
Da mesi č cominciato lo stillicidio delle segnalazioni di morti per malnutrizione: si va dall'area di Okavango, in Namibia alla siccitŕ che ha colpito perfino il granaio dell'Eritrea, la regione di Gash Barka, facendo scendere la produzione al 15% del fabbisogno alimentare (era del 40-50% negli anni scorsi): 1,4 milioni di eritrei, metŕ della popolazione), rischiano la morte per fame. E non sta certo meglio il vicino/nemico etiope, il cui primo ministro Meles Zenawi ha avvertito: gli etiopi a rischio potrebbero diventare 15 milioni (ma con quale coraggio nel 1999 ha speso 160 milioni di dollari per il riarmo?). I conflitti aggravano la situazione: l'Eritrea dovrebbe sfamare 900.000 rifugiati rientrati nel paese dopo la fine della guerra con l'Etiopia ma č semi-isolata dopo la chiusura delle frontiere con il Sudan (a causa di bande militari), passaggio cruciale per l'importazione del sorgo.
Dei 18 paesi colpiti nel 2001 da emergenze alimentari, otto, secondo la FAO, affrontano una situazione conseguente ad una guerra, col suo corollario di campi abbandonati, minati, inutilizzabili, sfollati, profughi etc... Global Express ne ha giŕ parlato nel numero di giugno-luglio 2000 di CEM Mondialitŕ.
"In tutto il continente rischiano la morte per fame 38 milioni di persone" (World Food Program, www.wfp.org).
Africa Orientale e corno d'Africa. Eritrea In Eritrea la mancanza di cibo potrebbe essere la peggiore da quando č divenuta uno Stato indipendente, nel 1993. L'emergenza riguarda almeno 1,5 milioni di persone, su una popolazione totale di 3,3 milioni. In particolare, la siccitŕ rende critiche le condizioni delle regioni a Nord e Sud del Mar Rosso e dell'Anseba. Con un raccolto di cereali di 74.000 tonnellate (quattro volte meno di quanto era riuscita in genere a produrre nell'ultimo decennio) l'Eritrea dispone solo del 15% delle risorse alimentari necessarie. Alla comunitŕ internazionale richiede 350,000 tonnellate di cereali per assistere le 900.000 persone piů direttamente colpite dall'emergenza.
Va sottolineato che la guerra con l'Etiopia ha reso inutilizzabili in Eritrea 12.000 ettari di terreno prima coltivabile, ha costretto a fuggire oltre un milione di persone delle regioni produttrici di grano Gash Barka e Debub (disseminate oggi di mine inesplose) e vede oggi in condizioni di estrema indigenza le popolazioni eritree che ritornano dopo essersi rifugiate in Sudan.
Etiopia Sono giŕ stimati in 11,3 milioni le persone che hanno bisogno di aiuti alimentari nel paese colpito dalla recente guerra e dalla siccitŕ; una stima che il WFP calcola potrebbe aumentare a 14,3, un quinto della popolazione totale. La crisi sta accelerando i fenomeni di inurbamento, con allevatori e contadini che si vedono costretti a camminare anche dieci chilometri per poter accedere all'acqua e sempre piů numerosi decidono quindi di emigrare nei centri urbani. L'emergenza richiede un contributo esterno per almeno 1,44 milioni di tonnellate di cereali, alimenti vari e oli vegetali.
Sudan Due decenni di conflitti armati hanno fatto salire a quasi 3 milioni di persone la popolazione che deve purtroppo ricorrere agli aiuti alimentari per poter sopravvivere. Inoltre la siccitŕ si č ripetuta per tre anni consecutivi nelle regioni del Mar Rosso, Darfur e Kordofan.
Somalia La Somalia ha vissuto dieci anni di conflitti interni e di condizioni climatiche avverse, con periodi di siccitŕ seguiti da inondazioni. Ne risulta oggi una capacitŕ di produzione alimentare fortemente compromessa che va dalla mancanza di sementi al diffondersi di epidemie che decimano le colture, alla difficoltŕ di riattivare scambi inter-regionali. Si stimano in 750.000 le persone colpite dall'emergenza alimentare, 120.000 nella sola Mogadiscio, la capitale, 514.000 nella regione centro-meridionale, 50.000 nella regione nord-orientale e 67.000 nella regione nord-occidentale. L'area di Bakool al sud č quella piů gravemente colpita, con metŕ della popolazione minacciata dalla malnutrizione.
Uganda Il WFP stima in centinaia di migliaia (forse un milione) le persone colpite dalla crisi alimentare in Uganda soprattutto a causa dei combattimenti che imperversano nel nord del paese e colpiscono anche i campi dei rifugiati. I combattimenti di agosto hanno significato la distruzione o l'abbandono di molti raccolti e l'impossibilitŕ di seminare a settembre. Particolarmente colpite sono le regioni di Adjumani, Gulu, Kitgum e Pader.
Africa Occidentale 791.000 persone nella regione soffrono l'emergenza alimentare, per la maggior parte rifugiati a causa dei conflitti che investono Guinea, Liberia, Sierra Leone e, dopo l'ammutinamento militare del 19 settembre, anche la Costa d'Avorio. Si stima che solo da quest'ultimo paese 120.000 siano scappate alla volta di Burkina Faso, Ghana, Guinea Conakry e Liberia.
Sahel Occidentale In cinque paesi, mezzo milione di persone sta lottando con la siccitŕ. Si tratta di ampie regioni di Mauritania, Senegal, Gambia, Capo Verde e Mali. Mauritania e Gambia hanno dichiarato lo scorso anno lo stato di disastro e fatto appello agli aiuti internazionali. In Mauritania dove si stima che 420.000 (su una popolazione di 2,7 milioni) siano colpite dall'emergenza alimentare. Ciň significa anche una sensibile diminuzione dei capi di bestiame, uccisi a decine di migliaia per far fronte alla crisi. Anche il governo di Capo Verde, per la prima volta in vent'anni, dopo un raccolto inferiore di un quarto a quello degli anni precedenti, ha fatto appello alla comunitŕ internazionale per far fronte alle esigenze alimentari.
Repubblica democratica del Congo (RDC) L'emergenza alimentare riguarda quasi un milione e mezzo di persone, con 342.000 persone in condizioni critiche. Č una delle ereditŕ delle recenti guerre civili e con i paesi limitrofi, senza che gli accordi siglati con Ruanda e Uganda, e quelli in corso fra le fazioni all'interno del paese (che dovrebbero facilitare la consegna delle armi alla missione ONU MONUC) abbiano ancora generato un efficace cambio di clima.
Africa Australe. Angola Per la prima volta, dopo tre decenni di guerra civile, ci sono piů cittadini dell'Angola che ritornano di quanti lascino il paese. Č l'effetto dell'accordo di pace firmato un anno fa. L'attuale situazione comporta, perň, gravi rischi di malnutrizione e morte per fame per quasi due milioni di persone. In alcuni casi le associazioni umanitarie hanno potuto finalmente raggiungere gruppi che si erano dovuti nascondere nel territorio per evitare gli aspri conflitti, in particolare degli ultimi quattro anni.
Lesotho Il Lesotho č stato colpito soprattutto da un eccesso di acqua, con nubifragi e tornado che hanno compromesso i raccolti di cereali, 60% in meno degli anni precedenti. L'emergenza riguarda 650,000 persone. Fu decretato lo stato di carestia nelle aree di Qacha's Nek, Quthing e Mohale's Hoek.
Malawi Sono 3,3 milioni le persone compite quest'anno dall'emergenza alimentare. Anche se il paese ha cercato di far fronte al deficit di cereali con una maggiore produzione di tuberi e radici, il WFP calcola almeno 277.000 tonnellate di cereali e 208.000 tonnellate di alimenti generici per arginare la crisi. P.e., il prezzo del mais č aumentato del 500%. In questo quadro precario si inserisce il dilagare dell'infezione HIV/AIDS che colpisce oggi il 19,5% della popolazione.
Mozambico Nei mesi scorsi un terzo delle regioni del paese ha prodotto meno cibo rispetto alle medie annuali e quelle centro-meridionali del paese vedono 590.000 persone in condizioni di emergenza alimentare. Il paese č stato vittima di una combinazione di periodi di siccitŕ seguiti da inondazioni devastanti.
Swaziland Condizioni climatiche particolarmente incerte e siccitŕ nella stagione della fioritura hanno severamente ridotto i raccolti nelle aree di Middleveld, Lowveld e nell'altopiano Lubombo. In un paese che registra un livello di disoccupazione del 40% e di infezioni da HIV/AIDS del 25% della popolazione, almeno 270.000 persone si trovano in emergenza alimentare.
Zambia Č stimato dal WFP in 174.383 tonnellate il fabbisogno di alimenti necessario a far fronte alla crisi acuta che interessa 2,9 milioni di persone in Zambia, dove la siccitŕ ha colpito la cintura di coltura tradizionale del mais, le condizioni impongono oggi ai contadini viaggi spesso di dieci chilometri a piedi per potersi recare ai mercati che distribuiscono generi alimentari, mentre diminuisce chi lavora nei campi anche a causa del virus HIV/AIDS che ha giŕ colpito un quinto della popolazione.
Zimbabwe Lo Zimbabwe era considerato un paese esportatore di prodotti alimentari, ma č stato colpito nell'ultimo decennio da precipitazioni saltuarie e inondazioni, un aumento del conflitto sociale (CEM ne ha parlato nel numero di Global Express dell'Aprile 2002, dedicato alle elezioni in Z.) abbinato ad un generale deterioramento delle condizioni economiche e ad un drastico aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. Oggi affronta la peggiore siccitŕ degli ultimi vent'anni con un deficit di cereali stimato in 1,5 milioni di tonnellate e 6,7 milioni di persone colpite dall'emergenza alimentare, sia in ambito urbano, sia rurale.
Accanto a questi casi acuti, altre aree di crisi interessano Burundi, Kenya, Madagascar e Tanzania.
Tratto da: www.saveriani.bs.it segnalato da una MenteLunatica alle 8:51 PM
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jeudi, mars 20, 2003
Dalla newsletter di Emergency
La scorsa settimana vi avevamo detto che stavamo rinforzando il team di Emergency in Iraq, in vista del precipitare della situazione, con l’invio di personale internazionale.
Oggi Gino Strada ha raggiunto Ake e Mario, rispettivamente Coordinatore Medico ed infermiere, nel nostro ospedale di Erbil.
Con una telefonata, Gino ci aggiorna sulla situazione che ha trovato: la citta’ e’ stata quasi completamente evacuata, le persone sono
scappate nelle campagne e sulle montagne, ritenute meno pericolose.
Abbiamo quindi rinforzato tutti i 20 Posti di primo soccorso che gestiamo nella regione: un team medico č presente 24 ore su 24, un’ambulanza e’ sempre pronta per il trasporto dei feriti piu’ gravi nei Centri chirurgici di Erbil e Sulaimaniya, sono state aumentate le scorte di medicinali e materiale sanitario.
Ma prima di raccontarci queste cose "tecniche", Gino ci ha detto una cosa che ci ha fatto immensamente piacere, e sappiamo che farŕ altrettanto piacere a chi ci segue da molto tempo o ha letto in "Pappagalli Verdi" la storia di Ashad e di suo padre Omar: Ashad ora lavora nel nostro ospedale di Erbil, addetto alla cucina.
Poi Gino aggiunge: "Ho anche saputo che Soran sta benone e verrŕ a trovarmi, Felah lavora (pare) a Baghdad, Esfandyar sta bene ma non fa niente, e Jutiar (quello che voi chiamate Giugiat) amputato bilaterale, continua a studiare e l'anno prossimo, l'impegno me lo prendo io personalmente, potrŕ andare all'universitŕ"
Per capire perché queste notizie apparentemente insignificanti ci emozionano cosě tanto dovete leggere le storie di questi ragazzi, che abbiamo incontrato per la prima volta tanti anni fa, dopo che avevano incontrato una mina antiuomo.
Le trovate sul sito a questo indirizzo Speriamo che non vi sembri superficiale parlare di queste cose in un momento in cui l’Iraq č sotto i bombardamenti americani. Quello che ora, per quei ragazzi, č il presente, avrebbe potuto non esserlo se non avessero avuto a disposizione, tanti anni fa, un ospedale dove essere curati. Sono la testimonianza che č importante esserci, e questo sara’ sempre il nostro dovere e il nostro impegno. segnalato da una MenteLunatica alle 3:27 PM
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I perchč di una guerra... due opinioni a confronto....
Perché gli americani dicono si all'attacco di Beppe Severgnini
So che in questi giorni molto - troppo? - viene scritto, detto, mostrato, immaginato sulla guerra in Iraq. So che quando leggerete queste righe forse saranno partiti i missili, o forse non ancora. Ma una cosa vorrei dirla. La ragione per cui - secondo me - la maggioranza degli americani s'č convinta che questa guerra č meglio farla; mentre la maggioranza degli europei pensa che sarebbe stato meglio evitarla. Anche quelli che la guerra non la vogliono, non la vogliono per motivi opposti. In America perché temono sia inutile. In Europa perché crediamo sia illegittima.
Non c'entrano la politica o l'economia. C'entra, invece, l'approccio alle cose della vita. Non scandalizzatevi per il paragone: molti americani approvano questa guerra per lo stesso motivo per cui amano i numeri; reagiscono al caldo con dosi massicce di aria condizionata; affrontano una grave malattia con coraggio. Perché vogliono fare qualcosa (to do something) e provare a controllare la situazione (to be in control). Sono i due comandamenti nazionali, e vanno capiti. Non derisi, come tende a fare chi l'America non la conosce, o se l'č inventata incollando un film a una canzone. To do something, to be in control. Non č delirio d'onnipotenza, anche se talvolta l'impressione č questa. E', invece, paura dell'impotenza. Restare passivi ad aspettare č impensabile; attivarsi, fare qualcosa č terapeutico. Sperare che non arrivi un 11 settembre chimico, batteriologico o nucleare č "un-American", per nulla americano. Bisogna cercare d'impedirlo. Anche quando i risultati sono incerti, gli amici dubbiosi e il capo non del tutto convincente. La cultura americana č pratica. Potremmo citare filosofi e letterati, ma limitiamoci a ricordare come il padre della Dichiarazione d'indipendenza, Thomas Jefferson, fosse uno strepitoso creatore di gadget, che sono il simbolo del modo americano di affrontare la vita: ho un problema, datemi l'attrezzo per risolverlo. Dopo una tragedia come quella delle Torri Gemelle e del Pentagono, l'amministrazione Bush ha cominciato a chiedersi, e a chiedere ai cittadini americani: il mondo č meglio o peggio senza Saddam? E' meglio. Allora, liberiamocene. Ci sentiamo piů o meno sicuri, sapendo che i terroristi perdono quest'appoggio (di cui oggi magari non dispongono, ma potrebbero disporre in futuro)? Ci sentiamo piů sicuri. Allora pronti, via.
Non sto dicendo che questi ragionamenti siano impeccabili, e nemmeno giusti. Sto dicendo che, negli Usa, li hanno fatti, li fanno e li faranno. Il fatalismo č il meno americano dei sentimenti. L'ho visto nelle lettere arrivate a "Italians" in queste settimane. I connazionali che vivono in Europa discutono di legalitŕ, moralitŕ, giustizia, possibili conseguenze. Gli italiani residenti negli Usa parlano di utilitŕ dell'intervento. Anche quelli che non lo condividono. Cercare di comprendere il movente culturale (psicologico, sociologico, antropologico: fate voi) di questa guerra č fondamentale. Perché comunque i rapporti andranno ricuciti: siamo i figli dell'Occidente, non abbiamo scelta. Ma per ricucirli occorre intendersi. E questo č un compito che abbiamo trascurato in molti, negli ultimi anni, di qui e di lŕ dell'Atlantico.
C'č un buon libro che suggerirei agli americani. Un libro che trovo perfino eccessivo: in certe pagine l'autocritica diventa autoflagellazione. Ha per titolo "L'ombra dell'aquila, perché gli Stati Uniti sono cosě amati e cosě odiati": circola negli Usa da qualche mese, č uscito in questi giorni presso Garzanti. L'ha scritto un americano, Mark Hertsgaard, che inizia spiegando le difficoltŕ dei connazionali a capire il mondo. Il primo capitolo, "La superpotenza parrocchiale", si chiude con le parole di Toqueville, secondo cui gli americani "vivono in uno stato di perpetua auto-adorazione... Solo gli stranieri o l'esperienza potrebbero portare certe veritŕ all'attenzione dell'America". Ma non era facile allora, non č facile oggi, non sarŕ facile dopo la caduta di Bagdad.
Scrivo tutto ciň dopo essermi pubblicamente dichiarato - in America, in Europa - contrario a questa guerra. Ma non contrario a capire perché gli amici fanno quel che fanno. Non č solo doveroso: č necessario.
dal Corriere della Sera, 20-03-2003
Ma ancora quella cosa non s´č capita di Lietta Tornabuoni
PARLA e riparla, leggi e rileggi, ascolta e riascolta, ormai da mesi: eppure, una spiegazione accettabile e convincente della ragione che ha indotto il presidente degli Stati Uniti a muovere guerra all'Iraq ancora non č stata data, oppure non s'č capita. Abbiamo sentito, naturalmente, tutte le dichiarazioni ufficiali e le ipotesi ufficiose, anche le meno credibili, le piů assurde o sceme. Bush vuole colpire i Paesi da lui sospettati di sostenere il terrorismo, non essendo in alcun modo riuscito a battere il terrorismo stesso. Bush vuol punire il dittatore che non rispetta gli accordi internazionali. Bush progetta di assoggettare e riordinare tutto il Medio Oriente, magari affidandone poi la gestione ad Israele. Bush intende garantirsi per il futuro ogni possibile rifornimento a buon prezzo di petrolio, prodotto essenziale che secondo scienziati ed economisti andrŕ sempre piů rarefacendosi e il cui costo potrebbe diventare impraticabile. Bush č un tipico caso di matto al potere. Bush programma di condurre con ardore religioso la lotta contro l'islamismo, prima che l'Islam soffochi l'Occidente. Bush č deciso a liberare l'Iraq e il mondo da Saddam Hussein. Bush deve dare incremento all'industria degli armamenti del suo Paese, e senza guerre questo č impossibile. Bush torna all'imperialismo puro, adesso che l'America non ha piů i classici avversari-freno del passato. Bush vuol vendicare il suo papŕ, l'altro presidente che fece una tale brutta figura con la guerra del Golfo. Bush vuole instaurare la democrazia in Iraq, poi in Iran, poi... In ciascuna di queste spiegazioni ci sarŕ una parte minima o massima di veritŕ, ma neppure sommandole si arriva a capire la smania, la testardaggine, l'irragionevolezza, il furore con cui il progetto di Bush č stato portato avanti, senza sentire ragioni: spezzando le alleanze europee degli Stati Uniti, isolandosi, violando leggi e istituzioni della convivenza internazionale, andando contro il collettivo sentimento pacifista, facendo prevalere su tutto la forza, la potenza militare, la minaccia bellica, la volontŕ sopraffattoria e cieca. In altri casi, s'č spesso visto che atteggiamenti del genere derivano dalla malattia mentale, oppure da motivi personali: ma nessuno, in tanto tempo, ci ha raccontato quali potrebbero essere (ricatto, debiti contratti con sponsor e sostenitori, favori da concedersi in vista di future tornate elettorali?) gli eventuali motivi personali d'un comportamento tanto insensato e impolitico da lasciare senza fiato. Allora, perchč? Perchč sě, e basta. E' anche perciň che questa guerra viene tanto avversata e risulta tanto odiosa: come si potrebbe non detestare un'azione che oltre ad essere mortifera č cosě assolutamente incomprensibile, illogica, irrazionale?
da La Stampa, 20-3-2003 segnalato da una MenteLunatica alle 2:56 PM
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l'ultimo giorno d'inverno
ho messo la sveglia alle cinque, a occhio e croce pensavo che il grande show iniziasse a quell'ora. Mi sono alzato facendo piano e ho acceso la TV. Porco cane, mi ero perso l'inizio. Ma bastava girare un pň i canali che il riassunto te lo facevano tutti. Ho spremuto arance rosse come il sangue dentro a un bicchierone e sono tornato davanti alla tv,bbc,cnn,mtv,rai,canale5,la7. il sole sorgeva su questa nostra terra e a guardare ad est poteva sembrare il bagliore di quelle esplosioni.
Il grande show č inizato, la piů grande produzione del secolo, con l'invocazione a dio e le facce di circostanza. S chi ha marciato,digiunato,messo bandiere,inoltrato email,sms,si sente come una comparsa che ha fatto la sua parte e ora perň entrano in scena gli attori grossi,quelli con le battute che ti tengono aggrappato alla poltrona a sgranocchiare pop corn.Poi ti viene sete,loro lo sanno,quelli della produzione,e allora ti venderanno la coca cola.
e domani č primavera.
l'ha invocato bush,posso farlo anche io.dio mio abbi pietŕ di noi.
Back to Iraq 2.0 - Being a recounting of my journalistic adventures concerning Iraq
Il blog di Christopher Allbritton, reporter del New York Daily News, inviato in Iraq. segnalato da una MenteLunatica alle 2:48 PM
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Mi piace quest'immagine, scattata per caso. Due uomini che si incrociano sul ponte proprio sopra quell'unico, piccolo tratto del fiume dove c'e' acqua. Mi da' l'idea della scelta, di un bivio. Forse sono io che stasera mi pongo una serie di quesiti. Questa e' la notte dell'attacco. Non e', dunque, una notte qualsiasi. E' una notte in cui si decide fra la vita e la morte. Sto qui, nella mia stanzetta, mentre fuori c'e' la luna piena. Sto aspettando di andare a collegarmi con "Porta a porta" per parlare del battesimo del fuoco degli alpini. Strano posto l'Afghanistan dove "tecnicamente" non c'e' piu' la guerra ma si continua a morire.
Ho freddo. Quando aspetti, viene da pensare. E allora ricordo che anche la notte di un anno fa non dormivo perche' stavo a Bologna per raccontare di un incubo: la morte di Biagi, il ritorno dei fantasmi brigatisti, una notte piena di paura del futuro. Ricordo anche un'altra notte drammatica, nove anni fa, quando fu trucidata una ragazza coraggiosa, che faceva il mio mestiere, Ilaria Alpi, insieme a un operatore che non aveva paura. E mi torna la rabbia per non conoscere ancora la verita'. Mi fa uno strano effetto ripensare alla vita giovane di Ilaria finita improvvisamente in un Paese lontano, su una strada polverosa, adesso che sto qui, in mezzo alla polvere.
Che altro? Gia', la luna. Stanotte e' piena. Ma non mi viene in mente adesso nulla di romantico. Piuttosto capisco che e' una luna maledetta perche' e' perfetta per un attacco.
Sembra fatalita' ma, tra l'altro, stanotte la luna di Kabul non e' piu' al buio. E' circondata, al contrario, da tante luci colorati (e qui i colori sono un evento). Domani e' il capodanno islamico, ma mi pare che non e' proprio il caso di far festa.
::: Scritto mercoledi' notte, le 2.35 a Kabul (le 22.35 in Italia) :::
Vado a letto quando a Kabul sono le 4,30 del mattino. Mi sveglio poche ore dopo e scopro che anche l'Afghanistan e' sotto bombardamenti. Non e', sinceramente, un bel risveglio. segnalato da una MenteLunatica alle 2:43 PM
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La guerra spiegata da mio figlio di Nando dalla Chiesa
I treni, i disobbedienti. La politica e le nuove generazioni, la pace e il senso comune. Tornai a casa a mezzanotte passata, dopo il consiglio comunale e un'assemblea con i movimenti milanesi. Tornò anche mio figlio. Il tempo di incominciare a parlare e giunsero le immagini di un telegiornale. I pacifisti che bloccavano non so quale treno e le consuete dichiarazioni messe in fila, comicamente lottizzate come sempre. Rifondazione, comunisti e verdi che difendevano i manifestanti. Le anime governative che attaccavano. L'opposizione maggiore che taceva o prendeva le distanze. Mio figlio scoppiò subito per la rabbia. Ma perchè tacciono?, mi chiese. Ma perchè non devono dire che fanno bene? Stanno cercando di impedire la guerra, o no? Perchè li devono attaccare, per piacere agli altri?
E andò subito oltre. Con foga, con irruenza. Ma che cosa sono Ds e Margherita? Eh, dimmi: a che cosa servono la Margherita e i Ds? A niente servono. Un ammasso di persone per non dire niente.
L'orgoglio e l'amor proprio risultarono feriti da subito, inutile negarlo. Che cosa potevo mai rispondergli, gli enumeravo le battaglie di un anno e mezzo in cui ne abbiamo viste e dovute inventare di ogni colore? Lui queste cose le sapeva benissimo. Della giustizia, della Cirami, delle manifestazioni sempre piů grandi. Tutto sapeva e aveva visto. Lui continuava a dirmi "Io ti stimo, lo so quello che hai fatto", ma capivo perfettamente che la sua rabbia chiamava in causa anche me. E che ogni volta che incrocia le esigenze o i sentimenti dei giovani, la politica si muove felpata, non li vede, quei volti e quei corpi, non sa sorridergli, non ne annusa gli istinti vitali e incontenibili. Gli istinti che ora portavano questo capo scout che ama i suoi bambini, che dedica loro serate e week end, che osserva la politica da lontano, ad appassionarsi e infuocarsi come sempre, quando giunge il momento della pace, del terzo mondo offeso, dei diritti umani calpestati dagli interessi economici.
Tranquilli, nessun terzomondismo di ritorno. No, mio figlio non sa nemmeno che cosa sia il cattocomunismo. Ha solo un senso elementare di giustizia che gli esplode dentro, come giŕ a Genova, quando andò per partecipare e tornò sconvolto per quel che aveva visto. Genova e ora i treni. Noi politici del centrosinistra e loro, i giovani "che non fanno più politica", del "guardiamoci stasera, in questa sala non c'è neanche un giovane", gag numero sette delle nostre riunioni, con moti di assenso assicurati. Io non mi sento rappresentato, diceva e ripeteva, metà ira metà disperazione. Io voglio un governo di sinistra, basta con questa idea del centrosinistra che deve stare attento, prudentemente attento, a dire dov'è il giusto, questo centrosinistra sempre muto e che non può parlare. Bravo, gli ribattei seccato a mia volta, e allora tieniti Berlusconi per dieci anni. Perchè così stanno le cose. Se lo vuoi sconfiggere devi mettere insieme tutto, e ci sono anche quelli che i blocchi dei treni non li condividono. Sul valore della legalità di fronte alla guerra senza Onu sapevo già che era proprio inutile spendere ogni parola. Perciò cercavo di tenere il discorso su un altro piano. Noi non possiamo essere solo sinistra. Abbiamo delle responsabilità. Noi dobbiamo governare proprio per evitare le cose che a te non piacciono e che ti fanno male. E allora, insorse lui, ha ragione Bertinotti. Altre volte proprio no, ma ora è Bertinotti che mi rappresenta. Almeno lui parla, come a Genova. Gli altri stanno zitti. Non servono a niente.
Fremevo anch'io, di disagio più che di rabbia. C'è una divisione dei ruoli, ripresi. E anche Bertinotti ci sta dentro, e cerca di trarne il massimo vantaggio anche lui. Noi se vogliamo tenerci il voto del nostro elettorato non possiamo seguire i pacifisti su queste forme di lotta, ma come fai a non capirlo? Ragionamenti ultrapolitici e al tempo stesso nemmeno troppo. Perchè se Rifondazione dovesse mai pesare molto a sinistra, magari grazie alla nostra inerzia su certe grandi questioni, anche il famoso Ulivo allargato potrebbe perdere qualche voto. Ma a queste cose non pensai affatto in quel momento. Gli dissi solo: ma che cosa stai dicendo, non lo sai che c'è mezzo Ds che su questi temi la pensa come Rifondazione e i verdi, che nella Margherita siamo in tanti a capire, almeno a capire, le lotte dei pacifisti? La risposta fu senz'appello. Ma per favore, ma per favore, per me i Ds sono Fassino e D'Alema. E la Margherita è Rutelli. Restai disorientato. Ma che dici, perché non ti leggi i giornali?, feci io praticamente annullato da quella identificazione assoluta, via la Bindi, via Realacci, via la Magistrelli o me stesso. Leggili - i giornali - e impara, invece di parlare a vanvera. La frittata all'una e passa di notte era fatta. Ah bene, è questo il dialogo. "Impara" mi sai dire, questo adesso è il tuo modo di ragionare. Se ne andň in camera da letto, visibilmente offeso, alterato, dolorosamente umiliato. Santo cielo. Mi sembrava di risentire la litania politica numero tre: "dobbiamo conquistare i giovani". I giovani di piazza San Giovanni, delle bandiere della pace, i dodicimila del Palavobis o come si chiama ora - ogni cosa basta pagare e le cambiano il nome - tutti là a sentir musica per la pace un lunedì sera. Dobbiamo conquistarli e io non ero capace neanche di parlare con mio figlio. Che non ha mai messo piede a un'assemblea politica, che ce l'ha con quelli che masticano e rimasticano ideologie di sinistra, ma che mostrava, per la seconda volta nella sua vita, una radicalità sorprendente.
Ero spiazzato. E parlavo a voce alta con mia moglie che lo difendeva. Dicevo a voce alta che non sopportavo quella sua arroganza proprio perchè mi sentisse dalla sua stanza. Dopo un quarto d'ora aprì la porta e tornò lui in salotto. C'era qualcosa di grande nel suo tentativo di dialogo, qualcosa di grande, voglio dire, per quella che è la fisiologia dei rapporti tra padre e figlio. Voleva farmi capire, lui voleva farmi capire. Si vedeva che comprimeva i toni, per non mettersi contro di me, che schiacciava la rabbia con cui avrebbe parlato al mondo se il mondo glielo avesse consentito.
Iniziò quasi un monologo inarrestabile. Fino alle tre del mattino, titolo i giovani e la politica oggi, tutto quello che i partiti non sanno o non capiscono. Te lo ripeto, iniziò, io ti stimo, lo so che cosa fai, io voto le persone. Ho votato Rifondazione come ho votato te, come ho votato Basilio Rizzo al Comune. Forse tu hai ragione. Ma tu me l'hai sempre detto, sin da piccolo, che quello che apprezzavi era il mio senso della giustizia. Dicevi con orgoglio che era spiccatissimo. E io penso di averlo davvero, per questo io non li voglio accettare i compromessi. Magari tu li devi fare, ma io perché? Io ho ventiquattro anni, posso almeno a questa età sognare un governo di sinistra, desiderare di essere rappresentato, posso? Anche tu alla mia età eri così, o no? Ma ti rendi conto di quello che sta succedendo? Uno è più potente di tutti e decide per tutti che si fa la guerra. Poi ti porta le armi in casa tua. E a questo punto piazzò l'esempio: è come se i Piattelli che stanno a pianterreno decidessero di ammazzare il generale Cusone che sta qua sopra. E per farlo attraversassero con le armi addosso casa nostra. Tu cosa gli diresti? Fuori di qui, gli diresti. Ecco, io non sopporto che qualcuno comandi a casa mia. Io non ne posso piů di queste ingiustizie. Di uno che con i dollari e con le armi decide tutto. Con la gente che muore di fame, i brevetti eterni sui medicinali contro l'Aids, e ora anche i brevetti sui prodotti dell'agricoltura. Fece anche cenno al suo esame di Diritto internazionale, che stava preparando. Ma ti sembra normale, domandò, che il Fondo monetario faccia e disfi per tutti, mandi in rovina i più poveri, e decida sempre in base al principio che lì conta di più chi mette più soldi? Dimmelo: è questa la cooperazione internazionale?
Le ingiustizie, pensai, le ingiustizie del mondo. Gli dissi che il mondo è pieno di tragedie e di ingiustizie, che noi come famiglia ne sapevamo ben qualcosa; non so perché - non certo perché lui sia scout - mi venne anche per la prima volta una limpida reminiscenza da chierichetto e stupendomi di me stesso gli chiesi: ma te lo ricordi quel riferimento a "questa valle di lacrime" nel "Salve o Regina"? Il mondo è davvero una valle di lacrime, davvero la felicità arriva una volta ogni tanto, per piccole o grandi cose, e ogni volta va presa con la consapevolezza che ce n'è poca. Poi lo so anch'io che bisogna combatterle lo stesso le ingiustizie, però sapendo che non sei tu che le elimini durante la tua vita. Almeno, io ho imparato questo. Sarà così, ma io non lo sopporto lo stesso, mi replicò. Faticava, e si vedeva, a tenere tutto ordinato nella parola, la camicia fuori dai jeans, quasi piegato in avanti per dire meglio, per tenere in equilibrio rabbia e rispetto. Questi (questi sono i capitalisti, gli americani, le multinazionali, dipende) stanno distruggendo il mondo, il senso della persona. Seminano l'ideologia del potere, del successo. Ogni cosa si legava all'altra nella sua accusa, lo sapevo, perché è così nei giovani. Sapevo che si sarebbe andati dalla guerra giù giù fino ai culi e alle tette in televisione, perché i ventenni colgono il filo che tiene insieme l'ideologia della forza e del rimbecillimento. Io, mi spiegò, ai miei ragazzini gli dico di divertirsi, di essere se stessi, che loro devono essere soprattutto dei bravi bambini, in pace con la loro coscienza, non devono vincere e battere gli altri, nella vita si vince e si perde con pari dignità, non devono avere il culto del successo che poi diventa della sopraffazione. Qua ci stanno togliendo tutto, perché alla fine sono degli insensati, spogliano tutto di senso.
Ma ti rendi conto?, e qui arrivò la rivelazione. Mi hanno tolto perfino i mondiali di calcio. I mondiali non ci sono più. Ho sempre sognato di vivere quello che hai vissuto tu nell'82. Ma non si può, non abbiamo potuto, perchè dovevano essere i mondiali delle multinazionali, che facevano investimenti nei paesi vergini di calcio. Comprati e venduti i mondiali. Lo sport più bello, tolto anche quello. Detto da lui, milanista (ahimè) che non perde una partita, che gioca con una squadra contenta di essere fatta solo di amici e per questo felicemente predisposta alle sconfitte, significava mi hanno tolto l'anima da bambino. Nessuno di noi vale più niente, insistè. E invece dobbiamo difendere il diritto di ogni persona a essere rispettata. Anzi ti comunico quello che abbiamo deciso stasera. Noi stasera agli scout abbiamo deciso di non accettare più i cuginetti, gli amici di famiglia, dentro lo stesso gruppo. Perchè poi sai che succede? Che i figli o nipotini della famiglia ricca e conosciuta si mettono tutti insieme, fanno il loro bel clan che si conoscono da sempre, che vanno in montagna e al mare insieme, e poi resta il bambino che non ha il suo clan di famiglia che certo viene con noi, dorme e canta con noi ma alla fine sotto le stelle si sente solo.
Era un turbinio di riferimenti, di valori. La pace e il calcio, i bimbi emarginati e i paesi poveri. Un materiale indistinto, che si teneva insieme non solo nello sforzo fisico e affettivo ma anche in qualche passaggio logico fulminante. Finchè riaprì un quaderno doloroso. Voi non lo capite, come non avete capito Genova. Obiettai che su Genova, sulla verità per Genova, mi ero speso e non poco, che avevo fatto sigillare io con un assessore provinciale la Diaz. Che non c'ero potuto andare i giorni prima, a Genova, perchè come facevo ad andarci con tutte quelle minacce di guerriglia, le promesse di sfondare la linea rossa, io che sono per la legalità? Che se non ci fosse stata quella reazione pazzesca della polizia, Genova alla fine sarebbe stata più una sconfitta che una vittoria per i no o new global, con quelle prove di guerriglia mimate e fotografate all'Idroscalo di Milano. Stai facendo l'errore che ho fatto io arrivando a Genova, mi rispose, quando ho visto in manifestazione quelli con gli scudi vestiti da guerra e mi sembravano esaltati o esibizionisti. Poi però ho visto anche come polizia e carabinieri caricavano il corteo. Ormai la discussione era tornata a quasi due anni fa.
E tuttavia proprio Genova, il fatto che avessimo difeso le buone ragioni della maggioranza pacifica del corteo, che avessimo svolto le inchieste, che fossimo intervenuti in parlamento, che non avessimo voluto abbandonare all'oblio quella due giorni di sospensione della legalitŕ, mi consentě di fargli l'esempio che cercavo. Vedi, gli dissi, quando io militavo nel movimento studentesco, i partiti della sinistra non stavano con noi. Spesso la cultura, i libri, gli ideali anche, erano gli stessi. Ma loro non stavano con noi. Perchè c'è una divisione di ruoli tra i movimenti e chi ha responsabilità istituzionali. Noi a Milano avevamo soprattutto i socialisti, più ancora che i comunisti, che ci aiutavano, che ci facevano da sponda: la possibilitŕ di fare le manifestazioni, i giornalisti, gli avvocati se c'era qualche problema. Sì, replicò, ma ora voi neanche questo fate. Voi dite che quelli dei pacifisti sono metodi inaccettabili prima ancora di dire che c'è la guerra da evitare. Ma li senti quando fanno le loro dichiarazioni? Non c'è rispetto per gli ideali di pace, c'è perfino paura di riconoscerli. Be', gli feci io, lo noti però che Prodi non vi attacca mai,che anche quando prende le distanze aggiunge sempre che bisogna capire gli ideali e le motivazioni dei giovani. E a me basterebbe questo, rispose, e per questo lo rivoterei. Ma la vuoi sapere una cosa? Noi, io e i miei amici voglio dire, non abbiamo quasi mai fatto riferimento alla Chiesa o ai preti, anzi, spesso le posizioni ufficiali sul sesso o sull'aborto ci creavano diffidenza. Ma ormai per noi riferirci ai preti e soprattutto al papa sta diventando normale, importante. Perché loro parlano. Loro parlano chiaro. Usano anche la parola "crimine" per la guerra preventiva.
Alle tre tornò a studiare. Io restai sulla poltrona, e mi rivoltai nella mente, al volo, molte considerazioni. Quelle affettive ve le risparmio. Un paio di riflessioni politiche però, quelle sì, si impongono ancora a distanza di giorni.
La prima. Non c'è che dire, questo capitalismo (questo, dico, quello che c'è davvero) deve essere proprio cieco o stupido. Era rimasto praticamente senza nemici in occidente e con la sua infinita avidità se li è ricreati e moltiplicati in un pugno di anni. Invece di sfruttare quella che dopo la caduta del Muro sembrava una vittoria storica e irreversibile, la sta capovolgendo in delegittimazione morale. Nonostante l'11 settembre.
La seconda. Forse però siamo ciechi anche noi, noi politici, che non vediamo l'immensa radicalità di questa domanda di pace e di giustizia che ci è cresciuta in casa. Tanto, tantissimo è cambiato in questi anni. La domanda di legalità dei girotondi non è affatto la stessa del "Craxi in galera" del '92 o '93. E molti hanno faticato a capirlo. Così la domanda di pace del 2003 non è affatto la stessa, tanto più ideologizzata, della guerra del golfo del '91. E anche chi ha fatto la manifestazione dei tre milioni non ne capisce spesso la profonditŕ, la nuova forza dirompente. Il suo essere parte del nuovo, grande ciclo culturale che risponde alla ventata di egoismo e di potenza che ha impazzato con qualche eccezione per due decenni. E che, ecco il paradosso, ci viene messa in faccia da una generazione che ci sembrava assente e silenziosa. Una generazione cresciuta tra spot pubblicitari e morte della partecipazione, ma che neanche i programmi dominati dal grande padrone televisivo hanno potuto forgiare a propria somiglianza, così da darci - ma sì - il messaggio sconvolgente che alla fine il senso dell'uomo è più forte di tutte le tivů messe insieme.
Mio figlio ora è partito per l'America latina. Un mese a imparare, a girare da solo per raccogliere spunti per la sua sperimentale sociologia del diritto. Lasciandomi, mi ha regalato "Patagonia Express" di Sepulveda, lui che non ha mai letto né Pasolini né Calvino. Vuole rivedere i luoghi dove il cielo è alto e in cui, come ama dire, una donna vale perchè è mamma e non perchè mostra culo e tette in tivù. In cui nulla si spreca e dove se un bimbo urla che il cibo scotta, la mamma non gli dice di sputare fuori tutto, ma gli fa aprire la bocca e gli soffia dentro. Se ho raccontato tutto questo, forse, è anche per amore suo, lo ammetto. Ma è soprattutto per amore di una generazione che, con questi ideali dentro, ha il diritto di essere rappresentata. Ha il diritto di misurare la distanza tra sogno e realtà; di vedere se è vero che un altro mondo è possibile.
da l'Unità 11-03-03 segnalato da una MenteLunatica alle 2:10 PM
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Appello di 'Libertà e Giustizia' - 'Il nostro no alla guerra' scritto da Claudio Magris
Il nostro no alla guerra non ha nulla a che vedere con lo stolto antiamericanismo aprioristico, pronto a gridare contro ogni fallo degli Stati Uniti ma silenzioso nei confronti dei Paesi in cui si lapidano le adultere o si decapitano gli omosessuali. Il dissenso verso la politica di un governo non implica alcuna ostilità nei riguardi del Paese retto in quel momento da quel governo, né del suo sistema politico-sociale; criticare oggi il governo Berlusconi o ieri il governo D’Alema non significa essere nemici dell’Italia.
Ogni sincera alleanza, anche con un Paese tanto piů potente, esige tuttavia franchezza e indipendenza di giudizio e non supina passivitŕ. Non ci sembra accettabile abbattere il regime tirannico e sanguinario di Saddam Hussein bombardando la popolazione irachena, cosě come non ci sembrerebbe accettabile bombardare Palermo per colpire i delinquenti mafiosi che sparano in faccia ai bambini.
Ci sembra soprattutto che questa guerra – preparata nel piů insensato dei modi con un micidiale misto di prepotenza, ipocrisia e titubanza – possa scatenare un processo incalcolabile di destabilizzazione e crisi politica nel mondo, con effetti disastrosi non solo per la pace ma per l’ordine e l’equilibrio.
Troppo spesso si crede, con supponenza, di tenere sotto controllo le cose e troppo spesso ci si trova, come irresponsabili apprendisti stregoni, dinanzi a conseguenze catastrofiche per tutti.
Siamo in uno dei momenti piů pericolosamente incerti e labili della storia degli ultimi anni, in un momento in cui il precario equilibrio potrebbe crollare in modi imprevedibili e devastanti.
Il no a questa guerra non nasce solo da un generico ancorché sacrosanto amore di pace, ma dalla razionale preoccupazione politica per i disastri ulteriori che essa potrebbe scatenare.
I Garanti e il Consiglio di Presidenza di Libertà e Giustizia
«Io dico grazie a Bush perché milioni di persone si sono unite per la pace» di PAULO COELHO
Grazie Presidente Bush. Grazie, grande leader George W. Bush. Grazie di aver mostrato a tutti il pericolo che Saddam Hussein rappresenta. Molti di noi avrebbero potuto altrimenti dimenticare che ha utilizzato armi chimiche contro il suo popolo, contro i curdi e contro gli iraniani. Hussein č un dittatore sanguinario e una delle piů chiare espressioni del male al giorno d’oggi. Ma questa non č la sola ragione per cui la ringrazio. Nei primi due mesi del 2003 ha mostrato al mondo molte altre cose importanti e perciň merita la mia gratitudine. Cosě, ricordando una poesia che ho imparato da bambino, voglio dirle grazie.
Grazie di aver mostrato a tutti che il popolo turco e il suo parlamento non sono in vendita, neanche per 26 miliardi di dollari.
Grazie di aver rivelato al mondo l’abisso che esiste tra le decisioni di coloro che sono al potere e i desideri del popolo. Grazie di aver messo in evidenza che né José Maria Aznar né Tony Blair danno la minima importanza né mostrano il minimo rispetto per i voti che hanno ricevuto. Aznar č capace di ignorare che il 90 per cento degli spagnoli sono contro la guerra e Blair č rimasto indifferente alla piů grande manifestazione pubblica svoltasi in Inghilterra negli ultimi trent’anni.
Grazie di aver costretto Tony Blair a recarsi al parlamento inglese con un dossier falso scritto da uno studente dieci anni fa e di averlo presentato come «prova determinante trovata dal servizio segreto britannico».
Grazie di aver permesso che Colin Powell si esponesse al ridicolo mostrando al Consiglio di Sicurezza dell’Onu delle foto che, una settimana dopo, sono state pubblicamente contestate da Hans Blix, l’ispettore responsabile del disarmo dell’Iraq.
Grazie di aver adottato la posizione attuale e di aver pertanto fatto sě che il discorso contro la guerra del ministro degli Esteri francese, Dominique de Villepin, alla sessione plenaria dell’Onu fosse accolto dagli applausi - cosa che, a quanto ne so, č successa solo una volta in precedenza nella storia delle Nazioni Unite, dopo un discorso di Nelson Mandela.
Grazie perché, in seguito ai suoi sforzi in favore della guerra, le nazioni arabe, normalmente divise, nell’incontro al Cairo avvenuto l’ultima settimana di febbraio sono state per la prima volta unanimi nel condannare qualsiasi invasione.
Grazie di aver affermato che «l’Onu ora ha una possibilitŕ di mostrare la sua importanza», affermazione che ha indotto a prendere una posizione contro l’attacco all’Iraq anche i Paesi piů riluttanti.
Grazie per la sua politica estera che ha spinto il ministro degli Esteri inglese, Jack Straw, a dichiarare nel ventunesimo secolo che «una guerra puň avere una giustificazione morale», perdendo in questo modo tutta la credibilitŕ.
Grazie di aver cercato di dividere un’Europa che sta lottando per l’unificazione: č un avvertimento che non sarŕ ignorato.
Grazie di aver ottenuto ciň che assai pochi sono riusciti a ottenere in questo secolo: unire milioni di persone di tutti i continenti nella lotta per la stessa idea, anche se essa č opposta alla sua.
Grazie di averci dato di nuovo la consapevolezza che le nostre parole, anche se non saranno udite, almeno sono state pronunciate; questo ci renderŕ piů forti nel futuro.
Grazie di averci ignorato, di aver emarginato tutti coloro che si oppongono alla sua decisione, perché il futuro della Terra appartiene agli esclusi.
Grazie perché, senza di lei, non saremmo stati coscienti della nostra capacitŕ di mobilitazione. Potrebbe non servirci questa volta, ma sicuramente ci sarŕ utile in futuro.
Ora che sembra non ci sia modo di zittire i tamburi di guerra, vorrei ripetere le parole che un antico re europeo disse a un invasore: «Che la mattina sia bella, che il sole splenda sulle armature dei soldati, perché nel pomeriggio ti sconfiggerň». Grazie di aver permesso a noi, un esercito di anonimi che riempie le strade nel tentativo di fermare un processo giŕ in atto, di capire quel che significa essere impotenti e di imparare a fare i conti con quella sensazione e a trasformarla. Pertanto si goda la mattina e la gloria che potrebbe ancora riservarle.
Grazie di non averci ascoltato e di non averci preso sul serio, ma sappia che noi la ascoltiamo e che non dimenticheremo le sue parole. Grazie grande leader George W. Bush.
Molte grazie.
Caro George e cari Tony e Josč Maria, questa lettera č personale. So che la servitů la aprirŕ e quindi tanto vale che dica anche: cari Berlusconi e Frattini.
Circa sessant'anni fa scappai da quel maledetto bunker di Berlino su un sidecar senza moto (il mullah Omar mi fa un baffo), e trovai rifugio in un paese sudamericano. In questo periodo in cui ho vissuto nascosto non ho sofferto per la guerra persa, ma per la fine di un sogno. Ho temuto che la sordida propaganda dei vincitori potesse cancellare il meraviglioso mito della razza eletta, e di un paese superiore agli altri. Per anni solo poche minoranze hanno difeso questo ideale. Vedervi oggi incarnare lo spirito di quei giorni dolci e terribili, mi ringiovanisce di mezzo secolo.
Sono vecchio, e solo le cure assidue, trentatre lifting e cambi del sangue mi hanno tenuto in vita. Ma ne valeva la pena, per vedere finalmente in voi gli eredi del mio sogno.
George, tu e la banda di miei seguaci e ammiratori che ha preso in mano l'America, teorizzate giustamente la superioritŕ della razza americana, dei suoi interessi e del suo esercito sul resto del mondo. Nelle vostre vene scorre poca emoglobina tedesca, e vedo troppi negri che parlano ai vostri microfoni, e troppe sacche di democrazia annidate sul vostro suolo.
Ma io vedo in te la mia giovinezza, George W. Bush. Solo io e tuo padre sappiamo che quel W. sta per Wermacht. Ebbene sě, George, con un paio di baffetti e una divisa, sei uguale a me. Non devi urlare ai microfoni, le amplificazioni e i media sono migliorati, hai fatto corsi di recitazione e di look. Ma i concetti che esprimi te li ho insegnati io. E trovo molto bello che forse sceglierai il ventuno marzo per attaccare l'Iraq, proprio il giorno del mio ultimatum alla Polonia, la nascita della primavera nazista. Tony, sei un comunista di merda, ma anch'io all'inizio mi ero impantanato in idee socialiste, so che dietro alla tua aria da fighetto si nasconde un cuore da panzer, e che l'Impero Coloniale Inglese č per te un esempio incrollabile.
Josč Maria, tu sei un cretino. Tagliati almeno i baffetti e non pettinarti come me. Ma ho avuto un sacco di cretini nel mio esercito, ed erano quelli che obbedivano meglio.
In quanto a voi, camerati Berlusconi e Frattini, non siete certo come Mussolini. Lui amava il militarismo, voi siete degli imboscati a vita. Ma stare dalla parte dei piů forti č nel vostro codice genetico. La vostra ipocrisia, la vostra mediocritŕ di statisti, il vostro essere servi dei servi , č parte integrante della peggior storia italiana. Date pure le basi e le ferrovie agli americani. Parteciperete al banchetto dei vincitori, avrete qualche attentato in meno e un barile di petrolio non ve lo negherŕ nessuno. Se verrŕ commesso quale crimine di guerra, riuscirete a fare una legge anche per quello. Se ci foste stati voi, il processo di Norimberga starebbe ancora passando da una sede all'altra.
Caro George, non preoccuparti se ti senti solo, anch'io lo sono stato. Sono sempre esistiti gli ebrei, i bolscevichi, gli zingari, gli arabi, e soprattutto i polacchi traditori come i Wojtyla, i negri come Annan e i traditori come Schroeder e Chirac. Feccia del mondo unita in quel covo di sordido meticciato etnico chiamato Onu. La diplomazia, diceva Goebbels, č il nome con cui le razze inferiori chiamano la loro paura. Ma ora č riapparsa sulla scena una razza superiore, e tutto questo sparirŕ nella spazzatura della storia.
George, so che tu non vuoi che mi mostri in pubblico, e questo mi rattrista. Ti ringrazio delle vecchie moto Zundapp che continui a regalarmi ogni compleanno. Non capisco anche i sessanta orologi d'oro in tre mesi, non č che saranno regali riciclati? Chi č quel deficiente che continua a regalarti orologi da polso, George, uno che ti ha preso per un polipo? Va bene, resterň nella mia privatsphere o privacy come dite voi. Ma state attenti. Non esagerate con le vostre bugie, con le parole preventivo e umanitario, le bombe intelligenti e federaliste, disarmare invece di aggredire, obliterare invece di uccidere. Potrei saltare fuori da un momento all'altro e apparire su qualche televisione. Chi non manderebbe in onda una videocassetta del fuhrer? Farei una aufsehenerregende audience, con un po' di fard, i baffi tinti e le luci giuste. Si fa cosě adesso, no? E potrei dire: cari telespettatori, anche se in passato abbiamo avuto qualche screzio, e io sono il Male e loro il Bene, questi sono i miei eredi, i miei continuatori. Saddam č una mia brutta sanguinaria copia, loro sono il modello perfezionato, i Robofuhrer del futuro. Forse non useranno tutti i miei metodi, forse si fermeranno prima, ma vi assicuro che alla base di tutto c'č la mia vecchia semplice lezione: il piů forte deve dominare il mondo. I vostri esperti di comunicazione temono che con la mia faccia stravolta e gli stivali militari spaventerei qualcuno, farei apparire la violenza di ciň che sta accadendo, vi smaschererei del tutto. Ma forse siete giŕ smascherati.
Vincerete, questo č certo. Il popolo iracheno ha imparato da Silvio Berlusconi che una grande felicitŕ sta per abbattersi su di lui. Glielo cederebbero volentieri, un chilotone di felicitŕ sulla sua villa di Arcore, ma non accadrŕ. Moriranno col sorriso sulle labbra. Forse avrebbero preferito un'altra soluzione per essere felici e liberi dal tiranno, ma voi non l'avete voluta fin dal primo momento. Avete coltivato Saddam come un fiore, e cosě questa commedia del disarmo. Siete ipocriti, bugiardi, e arroganti dall'alto della vostra potenza militare. Perciň mi piacete un sacco.
Vi accadrŕ di uccidere dei bambini iracheni (ahimč, succede, la guerra e la politica hanno sempre degli effetti collaterali imprevisti e spiacevoli, da Buchenwald ai Gulag, da Hiroshima alla prossima necessaria atomica). Ebbene, quando seppelirete questi bambini fate loro una carezza e dite: questa č la carezza di zio Adolf. Come sapete io amavo i bambini. E voi amate la pace, e l'Italia č un paese sovrano e questa non č una guerra d'aggressione. E poiché siete nel giusto, non la pagherete. Forse.
E' notte, e nel mio chalet tirolese in mezzo alla giungla guardo il tuo discorso alla televisione, George Wermacht Bush, e invidio lo stile e la pacatezza con cui comunichi a miliardi di persone quello che io dovevo urlare con voce rauca e gesti da burattino.
Ma l'anima č la stessa, e uguale č la fede in una razza eletta e nella superioritŕ militare come unica vera legalitŕ. Sessant'anni non hanno consumato questo meraviglioso ideale.
Caro George, ti faccio i miei migliori auguri e spero che tu passi serenamente queste quarantotto ore. Ti perdono la Normandia. In fondo, č grazie agli errori che si cresce, e voi avete imparato la lezione. Con affetto, e basta orologi. Decidiamo noi che ora č.
LE RICHIESTE DI AMNESTY INTERNATIONAL ALL’UNIONE EUROPEA: PROTEGGERE LA POPOLAZIONE CIVILE IRACHENA, RISPETTARE LE LEGGI DI GUERRA
Alla vigilia del Summit dell’Unione Europea di Bruxelles e nell’imminenza dell’inizio della guerra in Iraq, Amnesty International ha chiesto ai capi di Stato e di governo dei Quindici di mostrare la loro determinazione, individuale e collettiva, ad assicurare la
stretta osservanza delle leggi internazionali sulla condotta di guerra.
Amnesty International ha trasmesso ai Quindici le dieci domande che ieri ha rivolto a George W. Bush, Tony Blair, Jose’ Maria Aznar e Saddam Hussein:
Quali misure avete preso per garantire il pieno rispetto del diritto internazionale umanitario in tempo di guerra?
Potete garantire che non farete ricorso ad armi che, per la loro natura, hanno effetti indiscriminati?
Quali misure adotterete per garantire che i civili fatti prigionieri saranno trattati in modo equo e umano?
Quali misure adotterete per garantire che i diritti dei combattenti saranno rispettati?
Potete spiegare cosa state facendo per soddisfare le necessita’ di tipo umanitario e di sicurezza della popolazione irachena?
Come assicurerete protezione e assistenza ai rifugiati e ai profughi in fuga dal conflitto?
Cosa intendete fare per assicurare alla giustizia internazionale i responsabili di reati?
Siete disponibili a ricorrere ai servizi della Commissione permanente d’inchiesta umanitaria per indagare su gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra?
Sosterrete e favorirete la presenza di osservatori internazionali sui diritti umani su tutto il territorio iracheno, una volta che le condizioni di sicurezza lo permetteranno?
Come intendete assistere le Nazioni Unite nell’adempimento delle loro responsabilita’ in campo umanitario e dei diritti umani?
“I leader europei devono dichiarare pubblicamente e senza la minima ambiguita’ che intendono riaffermare i valori e gli impegni che vincolano l’Unione Europea e ciascuno dei suoi membri” – ha dichiarato Marco Bertotto, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International. “Tutti i paesi, ma soprattutto quelli che partecipano alla guerra in Iraq, devono garantire che le leggi di guerra saranno rispettate da tutti coloro che agiranno sotto il loro comando”.
Amnesty International chiede in particolare ai leader dell’Unione Europea di dichiarare la loro ferma opposizione all’uso di armi che sono di per se’ indiscriminate, tra cui le bombe a grappolo, le mine antipersona e le armi chimiche, biologiche e nucleari.
Amnesty International chiede inoltre ai leader dell’Unione Europea di assicurare che non vi sara’ alcun attacco diretto contro i civili; che gli attacchi contro obiettivi militari non avranno un impatto sproporzionato contro i civili; che saranno pienamente soddisfatte le necessita’ umanitarie e di sicurezza della popolazione irachena; che i rifugiati e i profughi saranno protetti.
Amnesty International chiede infine ai Quindici di premere sul Consiglio di sicurezza affinche’ vengano inviati osservatori sui diritti umani delle Nazioni Unite, non appena la situazione lo consentira’. Secondo Amnesty International, gli osservatori sui diritti
umani sono essenziali per contribuire a prevenire abusi e a indagare sulle violazioni commesse da ogni parte coinvolta nel conflitto.
LA SEZIONE ITALIANA DI AMNESTY INTERNATIONAL LANCIA LA CAMPAGNA IO NON DISCRIMINO
“L’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei diritti umani afferma solennemente che tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignita’ e diritti. Ma la realta’ di ogni giorno e’ che non tutti gli esseri umani sono eguali in dignita’ e diritti” – ha dichiarato Marco Bertotto, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International, presentando questa mattina a Roma una nuova campagna annuale dell’associazione sul tema della discriminazione.
La campagna, intitolata IO NON DISCRIMINO, intende denunciare le varie forme di discriminazione per motivi di origine etnica o nazionale, status sociale o economico, colore, genere, orientamento sessuale, lingua, religione, cultura, opinione politica che
annullano o mettono a rischio i diritti e la dignita’ di milioni di esseri umani nel mondo.
“La discriminazione e’ un attacco al cuore del principio fondamentale che i diritti umani spettano a ciascun essere umano, senza distinzione. Il diritto a non essere sottoposti a forme di discriminazione e’ sancito dai piu’ importanti accordi di diritto internazionale. Eppure, ogni singola violazione dei diritti umani che Amnesty International denuncia da oltre quarant’anni puo’ essere vista come un
prodotto della discriminazione. Lo sono state anche le peggiori tragedie di questi ultimi anni, dalla Bosnia al Ruanda, dal Kossovo a Timor Est” – ha detto Bertotto.
La discriminazione, come si legge nel rapporto presentato oggi alla stampa, “incombe sulla vita quotidiana della maggioranza degli abitanti del pianeta: codificata nella legge, applicata nell’amministrazione della giustizia, riprodotta in versione estrema nelle guerre, praticata dalle forze dell’ordine, amplificata dagli stereotipi del mondo dell’informazione”.
In alcuni casi – come nei confronti degli aborigeni in Australia, delle popolazioni indigene nel continente americano, dei dalit in India, dei rom in Europa, delle minoranze etniche in Cina e dei curdi in Medio Oriente – la discriminazione assume un carattere sistematico.
“La rappresentazione piu’ estrema della discriminazione si manifesta durante i conflitti armati su base nazionale o etnica: qui l’altro diventa avversario, nemico da eliminare in un crescendo di odio organizzato che non risparmia neanche i bambini e che si
accanisce particolarmente contro le donne, vittime di piani sistematici di violenza sessuale” – ha sottolineato Bertotto.
Amnesty International ricorda inoltre che all’indomani dell’11 settembre 2001 numerosi governi - tra i quali quelli di Gran Bretagna e Stati Uniti - hanno introdotto legislazioni che, in nome di una presunta maggiore sicurezza, hanno dato vita a una “giustizia di seconda classe”, discriminatoria e sommaria. Secondo Bertotto, “in molti paesi l’obiettivo della ‘sicurezza a tutti i costi’ si e’ trasformato in un pretesto per colpire gli oppositori e le minoranze e giustificare limitazioni alle liberta’ fondamentali e gravi violazioni dei diritti umani. Siamo davvero convinti che un mondo in cui a milioni di persone sono negati i fondamentali diritti umani, primo tra
tutti quello alla stessa sopravvivenza, possa essere reso piu’ sicuro con leggi repressive, l’uso della tortura e interventi militari?”.
L’Italia, come sottolineato anche dalla Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza, non e’ affatto estranea al problema: la discriminazione si esprime attraverso pregiudizi sociali, atti di violenza da parte delle forze dell’ordine, propaganda razzista, antisemita e xenofoba. “Non aiutano certo a contrastare la discriminazione le parole di chi, anche all’interno delle istituzioni
italiane, tende a minimizzare il fenomeno o, peggio, lo alimenta attraverso affermazioni xenofobe e intolleranti. Lo stesso vale per le leggi, come la cosiddetta Bossi – Fini, che sottovaluta la questione dell’asilo politico come problema di diritti umani, impedisce di
fatto l’esercizio del diritto d’asilo e colpisce i diritti di persone vulnerabili condannandole a una condizione di discriminazione e al rischio oggettivo di subire ulteriori abusi e persecuzioni”.
Davide Cavazza, responsabile della campagna IO NON DISCRIMINO, ha illustrato il calendario delle prime iniziative, tra cui, in particolare, la “Settimana dei diritti umani”, in programma a Padova dal 28 aprile al 4 maggio, nel corso della quale la Sezione Italiana di Amnesty International organizzera’ mostre, spettacoli e convegni sul tema della discriminazione.
Cavazza ha inoltre presentato una petizione nazionale che l’associazione intende far sottoscrivere a milioni di persone in tutta Italia oltre che a enti locali, esponenti politici, rappresentanti del mondo della cultura e dello spettacolo. Chi la firmera’ si impegnera’ “a contrastare ogni forma di discriminazione e a rispettare e tutelare l’uguaglianza e la dignita’ di tutti gli esseri umani”.
Durante la campagna, sara’ possibile sottoscrivere su www.amnesty.it appelli in favore di vittime della discriminazione e per l’adozione, a livello nazionale e internazionale, di legislazioni che mettano al bando la discriminazione in tutte le sue forme. I primi appelli riguarderanno Ecuador, Federazione Russa, Mauritania, Nigeria, Repubblica Popolare Cinese, Siria / Italia, Stati Uniti
d’America e Turchia.
Bertotto ha concluso ricordando che la discriminazione non e’ confinata unicamente all’interno delle istituzioni dello Stato ma puo’ mettere radici in ogni settore della societa’. “Contribuire a porre fine a tutte le forme di discriminazione e’ compito di tutti.
Ognuno di noi puo’ diventare protagonista di campagne contro il pregiudizio, l’ingiustizia, il bigottismo, la xenofobia: campagne per informare, per dare solidarieta’ alle vittime, per assisterle sul piano legale e su quello della riabilitazione psico-fisica.
La campagna IO NON DISCRIMINO puo’ rappresentare la speranza per milioni di persone per le quali dove c’e’ discriminazione non vi e’ liberta’, non vi e’ giustizia, non vi sono diritti umani”.
Roma, 19 marzo 2003 segnalato da una MenteLunatica alle 10:25 AM
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Domenica 9 marzo Arjan, volontario di MSF rapito sette mesi fa in Daghestan, ha compiuto 33 anni.
Dal 12 febbraio sono 220.888 le persone che hanno aderito alla petizione internazionale, lanciata da MSF per chiedere alle autoritŕ russe e daghestane di compiere ogni sforzo per ottenere la liberazione di Arjan.
L'obiettivo iniziale era raccogliere 150.000 adesioni per il compleanno di Arjan. L'obiettivo č stato raggiunto e, data l'ampia adesione a quest'iniziativa internazionale, MSF ha deciso di proseguire questa campagna finché non verrŕ raggiunto un elevato numero di adesioni provenienti da cittadini russi e daghestani.
MSF invita chiunque ad aderire a quest'azione in favore di Arjan Erkel, volontario di MSF rapito da uomini armati il 12 agosto 2002 in Daghestan (Repubblica della Federazione russa, confinante con la Cecenia). Dal giorno del suo sequestro né MSF né i suoi familiari hanno piů ricevuto notizie di Arjan.
La petizione di MSF č rivolta al Presidente russo, Vladimir Putin, e al Primo ministro daghestano, Magomedov, affinché le rispettive autoritŕ compiano ogni sforzo per ottenere la liberazione immediata diArjan.
La petizione internazionale per Arjan č stata lanciata il 12 febbraio scorso da tutte le 18 sezioni di Medici Senza Frontiere, a sei mesi esatti dal suo rapimento.
Gli operatori umanitari forniscono un aiuto essenziale alle popolazioni in pericolo e deve essere loro assicurata la possibilitŕ di potersi muovere in condizioni di relativa sicurezza. Il rapimento di peratori umanitari rappresenta una piena violazione del diritto umanitario internazionale e spesso comporta la sospensione dei programmi di aiuto forniti dalle organizzazioni umanitarie in quel contesto.
Breve biografia di Arjan Erkel Peter-Arjan Erkel, 32 anni, č nato in Olanda. Dall'aprile 2002 lavorava come capo missione di MSF a Makhachkala, capitale della Repubblica russa del Daghestan.
Arjan, laureato all'universitŕ di Nijmegen con una tesi in antropologia culturale, ha iniziato a lavorare con MSF nel 1994 come logista in Uganda. Successivamente ha lavorato come coordinatore delle operazioni di MSF in Tajikistan e come coordinatore di progetto in Uzbekistan, Russia e Sierra Leone.
Cosa puoi fare per aiutare Arjan? Puoi firmare la petizione e inviare il relativo link a tutti i tuoi amici, parenti e colleghi per fargli sapere cosa č successo ad Arjan e per dare un piccolo ma significativo contributo affinché si possa sapere qualcosa di piů su questa drammatica vicenda.
Invita piů persone possibile ad aderire alla petizione.
Abbiamo bisogno di una mobilitazione straordinaria per suscitare l'attenzione della comunitŕ internazionale su questa drammatica vicenda che ha colpito un volontario di un'organizzazione internazionale di soccorso medico.
Siamo qui per annunciarvi che giovedi' 27 marzo 2003, alle ore 21 saremo in onda con una trasmissione comica su almeno 20 televisioni locali e via satellite. Cioe' dovremmo riuscire a raggiungere tutta Italia con due ore di spettacolo. Si parlera' della guerra in Iraq, della situazione in Italia e di alcuni avvenimenti che le televisioni ufficiali tacciono.
Diciamo subito che non siamo in grado di produrre una televisione stabile. Si tratta solo di un esperimento per dimostrare che e' possibile farlo. E in ogni caso ci sembrava doveroso cercare di raggiungere, almeno una volta, un grande pubblico con un discorso non omologato. Siamo sull'orlo di una tragedia di portata immensa e non ci sentiamo di lasciare nulla di intentato.
La situazione anomala della tv in Italia ha reso possibile qualche cosa di incredibile:
ci sono 6 televisioni in mano a un uomo solo e centinaia di tv locali strangolate da un monopolio pubblicitario quasi assoluto.
E un altro uomo (Murdock) che controlla Stream e Tele+.
Ma le nuove tecnologie hanno reso molto piu' economico fare e trasmettere tv.
Oggi pensare a una televisione indipendente non e' una follia.
Questa nostra televisione e' per ora in grado di esistere per una notte sola come Cenerentola. E' un atto dovuto, per la situazione drammatica che il pianeta sta attraversando. Vogliamo far conoscere al pubblico televisivo le grandi menzogne che le televisioni nazionali stanno spacciando.
Ma lo scopo di questa trasmissione sara' anche un altro, vogliamo vedere quante persone, in Italia e in tutta Europa via satellite, riusciremo a raggiungere. Crediamo che oggi ci siano parecchi milioni di persone che sono stanche di questo regime del Pensiero Unico. E crediamo che ci siano tutte le premesse per creare una vera televisione libera e stabile.
Abbiamo fatto due conti, sarebbero sufficienti 500 mila euro (un miliardo di lire) per garantire una tv tutti i giorni via satellite e via internet, con un telegiornale quotidiano e l'accesso a tutti quelli che in Italia e all'estero avranno materiali autoprodotti da proporre. Parliamo di televisione povera, molto povera, una telecamera, una persona che racconta e basta: una televisione il cui valore sta in quello che dice e per il linguaggio che sa usare.
Una televisione dove il pubblico vota e puo' determinare veramente i palinsesti esprimendo il proprio giudizio. Potenzialmente si potrebbero raggiungere almeno 5 milioni di case ed episodicamente si potrebbero organizzare grandi eventi e ottenere un passaggio sulla rete delle tv locali. Una televisione che si muove fuori dai circuiti normali a costo di fare l'autostop.
E pensiamo che una televisione che possa offrire un accesso al grande pubblico e creare uno straordinario movimento di filmaker, con gruppi che ovunque iniziano ad autoprodurre materiali visivi. Perche' la tv monopolista non e' negativa solo per i suoi contenuti ma anche perche' non e' in grado di stimolare nuovi talenti, e' chiusa in un sistema di caste che non lasciano spazio a proposte originali e nuove.
Una televisione che sia veramente aperta potrebbe scatenare il desiderio di inventare programmi oltre che guardarli.
E forse ne potrebbero uscire molte opere piu' interessanti e divertenti del Grande Fratello.
C'e' quindi da chiedersi se ci siano i mezzi per finanziare una tale televisione.
Potenzialmente si'.
Pensiamo che un movimento che e' capace di portare in piazza milioni di persone dovrebbe essere in grado di raccogliere 500 mila euro. E pensiamo anche che ci siano imprenditori in Italia che avrebbero tutto l'interesse a comprare 500 mila euro di pubblicita' su una televisione che parli al movimento.
Da anni lavoriamo al discorso della consociazione degli acquisti (risparmiare denaro e, contemporaneamente, ottenere servizi migliori e finanziare attivita' etiche).
Basterebbe che 50 mila persone facessero il contratto di telefonia etica (http://www.commercioetico.it/telefonia/index.htm) per mettere insieme questi 500 mila euro (risparmi il 20% sulle tariffe di Tele2 e contemporaneamente il tuo contratto frutta mediamente 20 euro all'anno che il fornitore di telefonia versa come provvigione).
Oppure basterebbero 25 mila persone che stipulassero sia il contratto di telefonia etica che quello con l'assicurazione etica.
Oppure....
Le possibilita' sarebbero decine, centinaia... Crediamo che quando il movimento sceglie la via della creativita' possa inventare soluzioni straordinarie...
Ma intanto quello che bisogna riuscire a fare e': informare che ci sara' questa trasmissione.
Non e' la prima volta che il movimento riesce ad avere accesso alla tv. Lo hanno fatto Emergency, MicroMega, MegaChip, le dirette sulle manifestazioni e sul Social Forum di Firenze. La trasmissione via satellite e tramite le televisioni locali e' un percorso gia' sperimentato.
Ma e' la prima volta che si prova a trasmettere una serata incentrata su un tema tragico svolto con serenita' e sarcasmo.
Il problema centrale a questo punto e': riusciremo a far sapere che siamo in onda?
Vuoi dare una possibilita' alla nascita di una tv indipendente?
Aiutaci a far sapere che giovedi' 27, alle ore 21 saremo in onda. Per una sera soltanto e forse mai piu'.
(Nei prossimi giorni comunicheremo la lista esatta delle frequenze sulle quali sara' visibile questa trasmissione.)
Dario Fo, Franca Rame, Jacopo Fo
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Ancora dalla newsletter d'Emergency: L'intervento di Emergency in Iraq
Come sapete, e' dal 1995 che siamo presenti in Iraq, nella zona a nord, quel "Kurdistan iracheno" tristemente noto per la repressione da parte del governo centrale della popolazione curda, per l'alto numero di mine antiuomo (si stima che dei 10 milioni di mine presenti sul territorio la maggior parte sia di produzione italiana, venduta a Saddam Hussein durante l'embargo), per l'eccidio di Halabjia nel 1988 con armi chimiche.
Dal 1995 abbiamo aperto (e tuttora gestiamo) due centri chirurgici, due centri protesi e 20 posti di primo soccorso; in questi giorni abbiamo aumentato il personale internazionale presente in loco, in vista di un peggioramento della situazione; per lo stesso motivo stiamo inviando scorte di materiale sanitario e di farmaci.
Un analogo container sta partendo per Bagdad: da un incontro avuto dal nostro team con Tarek Aziz la scorsa settimana infatti č emerso che gli ospedali locali, pur non necessitando di personale medico-chirurgico, sono privi di farmaci, attrezzature, strumentario e materiale di consumo.
Negli ospedali di Sulaimaniya ed Erbil stiamo dimettendo tutti i pazienti non gravi per avere disponibilitŕ di posti letto in caso di
emergenza.
Tramite le news del sito internet, continueremo a comunicarvi gli aggiornamenti dal nostro personale in loco. segnalato da una MenteLunatica alle 1:08 AM
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